«È una questione d’intensità, e di misura del tempo»: così il fotografo e pittore francese Jean Timsit descrive il proprio lavoro. I suoi scatti sono in mostra a Venezia, presso Magazzino Gallery a Palazzo Polignac Contarini, a due passi dall’Accademia, fino al 24 ottobre. Rigorosamente analogiche le foto, in un bianco e nero molto contrastato, o immerse in un’atmosfera fiabesca: in parte sono dedicate ai panorami e alla gente del Bhutan, il piccolo stato monarchico dell’Himalaya dove si professa il buddismo come religione ufficiale.
Foto che parlano del Bhutan e Venezia
In parte raccontano – con la medesima intensità emotiva – una Venezia carnevalesca. «Per la stessa ragione amo questa città – prosegue Timsit – Qui c’è spazio per il tempo, mi scusi il gioco di parole. C’è spazio per la differenza dei pensieri e delle fedi. Qui il tempo è un valore. Non il ritmo affannoso che si occupa della quantità, piuttosto la forza del gesto che definisce l’aspetto qualitativo di ogni azione. Fotografare, prendersi cura di sviluppare la pellicola e stampare. Ma anche scrivere, – un’occhiata complice illumina lo sguardo dell’artista – ballare, o cucinare. Per me, ogni opera è meditazione».
Bhutan, foto e postproduzioni
Accanto alle foto, Timsit espone post-produzioni rielaborate in forma di quadri: scatti d’ambientazione orientale, poi ridipinti a mano con i pigmenti propri del Rinascimento occidentale; sontuosi, con una forte valenza iconografica. Due mondi lontani che si toccano. In fondo Venezia, per sua intima vocazione, si presta da secoli alla contaminazione, fino a farne elemento strutturale del proprio fascino (come non pensare al Ghetto ebraico, il più antico e il più vivace d’Europa; alla presenza delle comunità greca e armena, ai Fondaci).
La mostra
From Bouthan to Venice, a cura di Roberta Semeraro – critico d’arte, sceneggiatrice di documentari e narratrice, non nuova a riflessioni sulla differenza culturale e sull’identità – ribadisce un messaggio essenziale, quello della condivisione: «L’idea è farne una piattaforma di confronto, di dialogo – scrive Semeraro nel testo critico che accompagna la mostra – L’artista guarda la vita con occhi innamorati, ed è per questo che è pronto a riconoscere la bellezza intorno a lui, restituendocela».
Chi è Jean Timsit e perché il Bhutan
Nei decenni Jean Timsit, già avvocato di diritto internazionale, si è trasformato nel testimone visivo di una civiltà, quella orientale, ampia e diversificata. Ha trascorso molto tempo in India, Nepal, Cina, Tailandia, Indonesia. In Bhutan, soprattutto, convinto della pertinenza del concetto di Felicità Nazionale Lorda (in contrapposizione a quello di “prodotto interno lordo” caro al capitalismo occidentale), ha approfondito lo studio del buddismo.
Projet+
Da anni porta avanti il suo Projet+ per la ricerca di una vita più felice e pacifica, esponendo e tenendo conferenze in tutto il mondo: «Anche la fotografia può essere un arma del pacifismo, forse una delle più potenti – sostiene Timsit – Spesso è una chiave per la ricerca di una felicità più intima e inclusiva».
Un esperimento ispirato dal Bhutan
A Palazzo Polignac si è anche tenuto, nel corso della mostra, un interessante evento esperienziale che ha coinvolto il pubblico sulle tematiche dell’incontro tra spiritualità: la testimonianza della maestra di Tai Chi Roberta Polizzi, che insegna professionalmente dal 2003 e ha condotto seminari nell’ambito d’incontri internazionali, per poi rientrare in laguna con la propria scuola, e quella dell’operatrice olistica Chiara Mustillo, che si occupa di trattamenti con campane tibetane e diapason, massaggio energetico cinese, Reiki. Una buona occasione per allargare lo sguardo fuori e, soprattutto, dentro di noi.
Come sempre la penna Brandes si distingue per forma e contenuti! Grazie e brava!