“Nulla su di noi senza di noi” traduce pienamente la sostanza del principio di autodeterminazione che Sabrina Grigolo, infermiera magistrale, laureata in Scienze dell’educazione ed esperta nei processi formativi, ha assunto come ispirazione in tutte le sue molteplici attività a favore di pazienti, affetti in particolare da malattie rare o ultra-rare e caregiver/familiari. “Il messaggio che cerco sempre di lasciare è che le decisioni sulla nostra vita le prendiamo noi, non gli altri – spiega Grigolo, che è anche specializzata in bioetica, metodologia della ricerca clinica e in project management -. Gli “altri”, i professionisti della salute, ci suggeriscono, ci informano, ci danno gli strumenti che ci aiutano a prendere le decisioni. Alla fine, però, siamo noi che scegliamo e decidiamo.”
Associazione Rete Malattie Rare Odv premiata alla Digital Weeks 2025 per la formazione digitale dei soggetti fragili


In un’epoca di rivoluzione digitale la formazione di pazienti e familiari a tutela dei propri diritti di accesso alle cure è fondamentale. “L’associazione Rete Malattie Rare Odv è attiva da anni su questo fronte ed è l’unica in Italia (e una delle cinque a livello europeo) ad essere stata premiata per l’iniziativa realizzata, durante la scorsa primavera, nell’ambito della All Digital Weeks 2025 – ricorda Riccarda Scaringella, presidente di RMR Odv -. La nostra associazione infatti ha ricevuto ufficialmente il premio European Best Activity nel settore Digital Skills Policy per un ciclo di webinar finalizzati alla promozione della formazione digitale di soggetti fragili come i pazienti affetti da malattie rare e ultra-rare; l’iniziativa ha coinvolto oltre un centinaio di partecipanti, tra i quali professionisti della sanità e della salute, dell’assistenza sociale e socio sanitaria, rappresentanti delle associazioni, pazienti e famigliari”.
Sabrina Grigolo e i pazienti esperti
Sul tema abbiamo intervistato Sabrina Grigolo, che nel 2022 ha coordinato il primo corso di formazione per pazienti e caregiver esperti in tecnologie digitali per la salute, promosso da Fondazione Tendenze Salute e Sanità, Accademia del paziente esperto EUPATI e UNITELMA.
Tra i suoi tanti incarichi, lei è anche componente del Comitato Editoriale della Fondazione Tendenze Salute e Sanità (https://www.tendenzesalutesanita.it/gruppi-di-lavoro-fsk/i-gruppi-attivi/paziente-esperto-in/) ci può raccontare quali sono gli obiettivi che vi ponete?

Fondazione Tendenze Salute e Sanità mi ha attribuito questo compito da poche settimane. La finalità è dare voce e spazio a contributi che possono giungere dalla comunità di pazienti, caregiver e associazioni. Vuole essere uno spazio che va oltre ai singoli bisogni di una sola comunità, ma rappresentativa della pluralità delle diverse prospettive che creano quel sapere esperienziale necessario alla co-costruzione del percorso di salute della persona, quindi, raccogliamo storie, testimonianze, contributi scientifici che possono favorire il processo di impegno e collaborazione dei pazienti e dei caregiver nei processi sanitari, socio-sanitari in tema di assistenza e cura.
“Pazienti e caregiver esperti”, cosa significano precisamente queste definizioni?
Il termine di “paziente esperto” è stato espresso nel 1985 da David Tuckett, dell’Università di Cambridge (GB) affermando così che le cure di medici e professionisti sanitari sarebbero state più efficaci se i pazienti venissero considerati esperti delle proprie patologie. In letteratura esiste una sostanziale differenza tra “expert patient” e “patient expert”.
Quali differenze tra le definizioni di “expert patient” (esperto paziente) e “patient expert” (paziente esperto)?

“Expert patient” si riferisce al paziente che, alla luce della sua esperienza quotidiana di convivenza con una o più malattie, diventa un esperto (expert) di quella specifica condizione, ponendosi allo stesso livello dei professionisti sanitari per quanto riguarda l’esperienza vissuta.
Questo concetto si differisce dal “patient expert” che è un termine usato in diversi contesti europei e internazionali, ad esempio dall’Agenzia Europea del Farmaco (EMA), per indicare un paziente e/o un caregiver specificamente informato e formato per essere coinvolto in attività di ricerca e management sanitario con il ruolo di rappresentante di associazioni e/o delle comunità di riferimento. In entrambe i casi il paziente per diventare “esperto” aderisce alle raccomandazioni dei clinici, conosce la propria condizione di salute, segue uno stile di vita corretto, dimostra competenze specifiche di self care e self monitoring. In questa situazione, il sapere esperienziale del paziente e/o del caregiver come persona di riferimento può aiutare le persone nel risolvere problemi, condividere contatti, costruire una rete, etc.
Quali sono gli errori più comuni che pazienti e caregiver, che si credono esperti, possono commettere?
Proprio nel credere di essere esperti quando non lo si è. Normalmente il paziente esperto viene coinvolto dai clinici e dai professionisti sanitari in attività di supporto e di sostegno ad altri pazienti come i gruppi di auto mutuo aiuto, gruppi di cammino, i circoli della nutrizione etc con il compito di portare la propria esperienza di malattia. Sono pazienti e/o caregiver capaci di costruire relazioni efficaci con i clinici e i professionisti sanitari e di collaborare insieme per il raggiungimento di obiettivi comuni.
L’empowerment è un processo, come lo può descrivere?

Mi piacerebbe tradurre il termine “empowerment” in capacità di assumere le proprie responsabilità in termini di scelte, decisioni e gestione delle conseguenze. Una traduzione, a mio avviso, più vicina alla nostra quotidianità perché occorre dare valore al sapere esperienziale. Il CIOMS nel 2022 afferma, ad esempio, che il sapere dell’esperienza ha pari dignità del sapere scientifico. Sono due saperi che si devono integrare per riuscire a personalizzare la cura. Una persona informata e preparata è in grado di capire quali possono essere le conseguenze delle proprie decisioni anche grazie all’aiuto dei professionisti della salute.
Quanto conta oggi la capacità di utilizzare le nuove tecnologie per sostenere l’accesso ai servizi e alle cure?
Tanto, se pensiamo alle modalità di prenotazione delle visite, di ritiro dei referti, di comunicazione con gli specialisti e, soprattutto, con i medici di medicina generale. Le tecnologie digitali sono diventate strumenti di gestione quotidiana delle nostre vite. La letteratura, confermata anche dalle nostre esperienze, ci dice che possiamo incontrare due grandi problemi: la mancanza di competenze digitali e di infrastrutture di telecomunicazione. L’alfabetizzazione digitali deve essere una priorità istituzionale così come la predisposizione su tutto il territorio nazionale delle giuste infrastrutture per essere davvero “pazienti digitali”. Purtroppo chi abita in montagna, in campagna o lontano dai centri abitati è penalizzato così come chi non ha le competenze necessarie per utilizzare le tecnologie digitali. Due problemi che incidono sulle diseguaglianze sociali per la salute.
Può farci degli esempio in cui la digitalizzazione rende più efficace ed efficiente presa in carico e accesso alle cure?

Posso citare teleconsulti e telemonitoraggi così come le app di supporto alla terapia. I primi, ci evitano spesso lunghi viaggi per arrivare al centro di riferimento. Il telemonitoraggio ci permette di condurre una vita abbastanza serena perché esiste un sistema di monitoraggio continuo dei nostri parametri per cui, in caso di situazioni critiche, veniamo contattati per ricevere informazioni sul nostro stato di salute. Esistono poi le app di supporto alla terapia che ci aiutano a ricordarci e ad assumere i farmaci negli orari e nelle posologie corrette.
Come si declina il ruolo di “paziente/caregiver esperto in Tecnologie Digitali per la salute”?
Il paziente/caregiver esperto in tecnologie digitali per la salute rappresenta un mediatore tra bisogni dei pazienti e risposte dei servizi sanitari. Emergono diverse opportunità di partecipazione a gruppi di ricerca e di studio grazie alle quali, ad esempio, sono state messe in evidenza le criticità vissute dai pazienti e dai caregiver nell’utilizzo delle stesse tecnologie digitali. Anche nel processo di ricerca e sviluppo, la partecipazione dei pazienti rappresenta una grande opportunità per migliorare la piattaforma e/o l’app dal punto di vista del funzionamento e dell’interfaccia. Certo è che vogliamo essere partner dell’innovazione digitale e non “end user” (utilizzatori finali) come spesso ci considerano.
Quale futuro si apre per i servizi sanitari, sociosanitari e sociali in una prospettiva di riduzione degli investimenti pubblici?

Il nostro sistema sanitario pubblico è un grande risultato ottenuto da chi ci ha preceduto. Io non perdo occasione per difenderlo. Serve una maggiore riflessione sulla sostenibilità ma abbiamo una sanità che mediamente funziona bene. Credo che dal nostro punto di vista sia importante ricevere servizi di qualità entro un certo limite di compartecipazione economica da parte dei cittadini. Sappiamo quante persone non si possono curare per motivi economici e qui emerge il grande problema dell’equità per la salute. In questo momento, a causa dei tempi di attesa, emergono gravi diseguaglianze sociali. E questo va a contrastare con l’art. 32 della Costituzione della Repubblica Italiana.

















































































