Ha partecipato ieri, insieme ad una cinquantina di attivisti del coordinamento delle associazioni “InMARCIAperlaPACE” all’incontro con Papa Francesco, tenutosi a Verona in occasione “Arena di Pace 2024. Giustizia e Pace si baceranno”. Bernardino Mason, di Pax Christi, 66 anni, è uno dei tre digiunatori per la pace che, dalla metà di febbraio fino a dopo Pasqua, si era impegnato riducendo le calorie giornaliere a 800-900 insieme a Carlo Giacomini, dell’Ecoistituto del Veneto Alex Langer, e a all’architetto catanese, ma veneziano di adozione, Giovanni Leone. Accanto ai digiunatori ad oltranza un gruppo di alcune decine di persone che ancora praticano il digiuno a staffetta come forma di lotta non violenta a sostegno del “cessate il fuoco” immediato.

“La pratica del digiuno, anche grazie all’esperienza del gruppo veneziano, ha promosso la nascita di una rete nazionale che vede una quindicina di gruppi aderenti – spiega Bernardino Mason. – Il primo obiettivo quindi ora è quello di non disperdere questo patrimonio di relazioni, contatti e capacità di iniziativa anche a livello nazionale. Come coordinamento ci siamo quindi dati degli obiettivi a breve: a fine maggio saremo a Roma per consegnare la petizione di oltre 2000 firme, in Parlamento, incontrando il gruppo interparlamentare per la Pace e anche poi Papa Francesco.”
Dal 14 febbraio fino a dopo Pasqua, due mesi di digiuno continuativo per attirare l’attenzione sulla volontà di Israele di attaccare Rafah con il rischio di provocare una strage. Bernardino, ora l’attacco di terra purtroppo è partito, qual è il vostro sentimento?

Abbiamo praticato due mesi di digiuno, anche se nelle intenzioni iniziali ci eravamo prefissati di farlo soltanto nei 40 giorni di Quaresima, per coprire poi anche il periodo del Ramadan. Abbiamo cominciato il 14 febbraio per darci una possibilità di fronte al senso di impotenza e frustrazione che provavamo, e che proviamo, di fronte ad ogni guerra, in particolare per questa perché è una strage annunciata, da troppo tempo si trascina la questione, quasi sia ineluttabile e irrisolvibile. Non potevamo e non volevamo sentirci complici degli uni o degli altri, non potevamo girarci dall’altra parte. Con il nostro gesto ci siamo dati una possibilità e centinaia di persone hanno visto in questa pratica qualcosa che nel suo piccolo aiuta a riflettere e a creare dialogo anche la dove sembra impossibile.
Abbiamo smesso il digiuno continuativo perché altrimenti avremmo messo a rischio la nostra salute e ci siamo aggregati alle altre centinaia di persone che digiunano a staffetta. L’intento rimane di richiamare l’attenzione su una reale tragedia, anche se non stiamo riuscendo a coinvolgere masse importanti. Siamo un piccolo ingranaggio che però ogni giorno genera ponti, occasione di incontro.
In questi mesi molti sono stati gli incontri online e in presenza rispetto alla situazione nel conflitto Hamas Israele e sulla situazione nella Striscia, qual è la vostra lettura? Come si è evoluto il vostro punto di vista?

Purtroppo, su quanto sta succedendo sul campo, non ci sono state evoluzioni positive. Sembra esserci una ferma volontà da parte del governo Israeliano, e delle sue frange più estremiste ,di procedere verso ad una pulizia etnica di fatto anche se formalmente negata, una violenza letteralmente sfrenata, che un astratto diritto alla difesa non può giustificare. Vi è volontà di prolungare il conflitto, questa è l’unica cosa chiara. Non è per nulla chiaro invece dove si potrà arrivare e quali potranno essere le conseguenze. Sembra, proprio in queste ore, che nonostante l’immane distruzione provocata, Hamas sia tutt’altro che sconfitta.
Ci sono invece sul teatro di guerra ben 40.000 morti, di cui buona parte bambini, distruzione completa di infrastrutture, una popolazione stremata dalla fame, ma gli attacchi israeliani non sono riusciti a far scomparire le frange armate di resistenza. Purtroppo una drammaticità che ancora una volta ci dimostra che la guerra al terrorismo fatta in questi termini è tutt’altro che efficace. Porta solo morte e distruzione per poi trovarsi sempre al punto di partenza. Se l’obbiettivo di questa azione militare è quello di portare più sicurezza per Israele, vediamo che questo non è e non sarà: anzi, più continua la guerra, più si aprono nuovi fronti e l’isolamento internazionale dello stato di Israele aumenta.
Qual è ora la scommessa politica su cui vi state concentrando? Dopo il digiuno, in vista delle elezioni europee, cosa chiedete ai candidati?

Non entriamo nell’arena elettorale, ma all’Europa e alla comunità internazionale chiediamo di impegnarsi a costruire una prospettiva di “cessate il fuoco” immediato, per avviare un processo di pacificazione che garantisca alle popolazioni sicurezza. Si smetta di alimentare il mercato delle armi e si avvii un’azione politica autentica, smettendo di considerare la tregua una sconfitta e la trattativa una resa.
Perché la comunità politica internazionale sembra completamente impotente di fronte a questa crisi così grave?

Se osserviamo l’ultima votazione all’ONU per l’ammissione dell’Associazione Nazionale Palestinese come membro permanente, vediamo che il voto ha registrato 143 favorevoli, 9 contrari (Argentina, Repubblica Ceca, Ungheria, Israele, Stati Federati di Micronesia, Nauru, Palau, Papua Nuova Guinea, Stati Uniti) e 25 astensioni. L’ambasciatore d’Israele ha platealmente stracciato la carta delle Nazioni Unite (di fatto quindi non riconoscendo il diritto internazionale). Forse gli Stati Uniti metteranno per l’ennesima volta il veto, ma fino a quando potranno sostenere Israele isolandosi a loro volta sempre più dalla comunità internazionale e dimostrando così la loro impotenza più che la loro potenza?
Ma l’ONU quanto conta effettivamente in una crisi di questa portata? E il ricorso alla Corte di Giustizia a cosa può portare?

La comunità internazionale è impotente nei confronti di questa, come di altre guerre, perché i meccanismi di funzionamento dell’ONU sono figli della seconda guerra mondiale e mostrano sempre di più i limiti di quella formulazione.
La Pace in Europa si è stabilizzata quando i paesi europei hanno deciso di rinunciare ad un po’ della loro sovranità per costruire un bene comune, lo stesso percorso dovrebbe essere fatto sul piano internazionale affinché il diritto internazionale abbia una sua efficacia.
Nel frattempo un numero crescente di paesi appoggia il ricorso alla Corte di Giustizia (a cui né Israele né gli Stati Uniti aderiscono), avviato dal Sudafrica, con l’accusa di genocidio contro Israele: è possibile che lo stesso tribunale emetterà dei mandati di arresto nei confronti di Netanyahu e Sinwar. Tutto questo rende evidente che la posizione dell’attuale governo israeliano diventa sempre meno sostenibile e anche l’opposizione interna sta aumentando di giorno in giorno.
Nelle università Usa, e anche in quelle italiane, dilaga la protesta, ma parte dell’opinione pubblica sembra indifferente, perché? Ci siamo ormai abituati all’orrore?
Quello a cui assistiamo è che i giovani si stanno riappropriando del diritto di parola e questo mi sembra un bel segno di speranza, anche se non sempre parole d’ordine e slogan sono condivisibili.
E’ un movimento che si dilata sempre di più e travalica vari paesi

Sappiamo che chi si mobilita è sempre una minoranza, lo era anche quando sembrava un fenomeno di massa. Inoltre i giovani, dal punto di vista demografico, sono una minoranza. Se si mobilita una minoranza, è normale che possa sembrare che buona parte dell’opinione pubblica sia indifferente. Però indifferente non significa contraria, si tratta di quella maggioranza silenziosa che preferisce vivere la propria quotidianità fintantoché non si troverà costretta a decidere, esprimendo il proprio voto: alle prossime elezioni vedremo in modo reale il peso di questa protesta. Il dato interessante è che la protesta negli Stati Uniti include anche molti giovani di origine ebraica.
Questo rompe quel meccanismo, quella narrazione dietro cui si trincera questo governo di Israele: siccome siamo vittime ed abbiamo diritto a difenderci, ogni azione è possibile per raggiungere lo scopo, e se non concordi, sei antisemita. La perdita del senso di umanità, da qualsiasi parte venga, non ha nulla a che fare con l’antisemitismo o con l’islamofobia, quello che sta avvenendo non ha giustificazione, è inaccettabile.
Il vostro movimento digiuno per la pace come si articola in questo momento nel veneziano? Quali obiettivi si pone?

In questo momento è difficile separare quello che è il movimento veneziano da quella che è la mobilitazione degli altri gruppi di digiuno nel resto d’Italia. Fino a poco tempo fa il movimento veneziano era caratterizzato dalla presenza di digiunatori a oltranza, mentre gli altri gruppi digiunavano a staffetta, ora tutti pratichiamo questa scelta. In questi giorni saremo impegnati a Roma per la consegna della raccolta firme in Parlamento e a Papa Francesco. Al momento le “donne in nero” continuano con i sit – in nella piazza Ferretto a Mestre, ogni venerdì alle 17,30. Poi continueremo con alcune iniziative durante l’estate, per tenere vivi i legami della rete e cercheremo di ripartire in autunno magari finalizzando il digiuno al disarmo nucleare, a far sì che lo stato italiano aderisca al trattato di proibizione alla produzione e all’uso di armi nucleari.
Quali sono gli obiettivi politici individuati dal movimento nazionale? Oltre il digiuno?

Il “cessate il fuoco” ci accomuna tutti. Non sta a noi giudicare in dettaglio colpe e reati, se si tratta di reati. Il barbaro assalto di Hamas su popolazione festante e la guerra di rappresaglia israeliana sono crimini di cui i singoli responsabili e i governi dovranno rendere conto alla Corte di Giustizia Internazionale e alla Corte Penale Internazionale. A noi interessa fermare la carneficina. Inutile in questa fase indugiare sulla contabilità dei morti o delle violazioni, di questo si occupino i giuristi, che devono essere sostenuti nel loro lavoro, senza intimidirli come invece è avvenuto con interventi a gamba tesa da parte di alcuni esponenti politici.