Aria di tempesta sui porti dell’Alto Adriatico. Il porto di Venezia vive da anni una fase di ridefinizione e di calo dei traffici, il cui aspetto più evidente è la flessione dei passeggeri delle navi da crociera, sul quale pare ormai esserci la consapevolezza dell’inevitabilità. Ultimo capitolo della storia è la recente polemica, a suon di carte bollate, che si è instaurata tra l’Autorità di Sistema Portuale di Venezia e Venezia Terminal Passeggeri legata alla bocciatura ufficiale del Piano Economico Finanziario proposto dal terminalista per l’estensione della concessione, con la conseguente revoca della stessa.
Aria di tempesta per il Decreto Venezia
Secondo quanto indicato da una nota dell’Adsp di Venezia che riepiloga il negativo andamento dei rapporti con Vtp, legati inizialmente alle difficoltà dovute al Decreto Venezia che, nell’estate del 2021 stabilì il blocco delle navi da crociera sopra alle 25 mila tonnellate, il terminalista intende ricorrere al Tribunale Amministrativo del Veneto contro la bocciatura del provvedimento.
L’impossibilità di percorrere il Canale della Giudecca per raggiungere gli accosti della Stazione Marittima, hanno di fatto bloccato l’arrivo delle navi passeggeri. E, di conseguenza, le attività di VTP, che avrebbero potuto essere garantite solo dallo scavo del Canale Vittorio Emanuele, per il quale è stato nominato il Commissario (e presidente di Adsp) Fulvio Lino Di Blasio, in occasione del decreto stesso ma che risulta appena impostata in questi giorni.
Aria di tempesta per la crocieristica
Dalla chiusura del porto, secondo quanto indicato dalla nota dell’Adsp di Venezia, Vtp avrebbe beneficiato di contributi pubblici per 14,5 milioni di euro per il 2021 e il 2022 e di una riduzione del canone per il 2021 di 1,86 milioni di euro. Olltre ad aver potuto fruire degli approdi temporanei di Marghera, di Chioggia e di Fusina, dal 2022. Presso i quali sono state deviate le navi da crociera.
Nel corso di questo tempo, sempre secondo l’Autorità Portuale, è stata avviata la negoziazione per la revisione del piano economico finanziario (PEF). Con lo scopo di allungare la concessione la cui scadenza era prevista per maggio 2026, per la quale Vtp avrebbe presentato una prima bozza di accordo.
La contestazione
Successivamente però disconoscendo unilateralmente i risultati raggiunti dalle trattative condotte sino a quel momento, Vtp elaborava un nuovo Pef, basato su assunzioni nuove e differenti dalle precedenti, presentato da un nuovo consulente, con la reintroduzione e quantificazione unilaterale dell’indennizzo all’interno del riequilibrio economico-finanziario del Pef.
Sulla scorta dei pareri dell’Avvocatura di Stato perciò, nel novembre scorso, l’Adsp di Venezia ha contestato la metodologia adottata unilateralmente da Vtp nell’elaborazione del secondo Pef, in quanto inattuabile sia da un punto di vista della sostenibilità economico-finanziaria da parte di Adsp, sia in termini di coerenza e legittimità rispetto alla normativa nazionale e unionale in materia di concessioni”.
Aria di tempesta che arriva da Vtp
Da qui, sempre secondo la ricostruzione fornita, sarebbe scaturita la pubblica diffida da parte di Vtp che ha portato successivamente all’emanazione di un decreto dell’Adsp. Con il quale viene ribadito che la proposta di Pef presentata da Vtp non è ricevibile né conducente al riequilibrio della concessione assentita alla predetta Società in quanto non corretta da un punto di vista metodologico oltre che di merito,
In sostanza Vtp avrebbe utilizzato dati non validati dall’ente concedente per definire il differenziale con le proprie aspettative antecedenti al decreto, inserendo così nel Pef un calcolo dell’impatto del Decreto Venezia stimato come lucro cessante, modalità che Adsp considera erronea nella procedura di riequilibrio della concessione, col risultato di portare ad una richiesta di prolungamento senza fondamento pratico e normativo.
Adsp Venezia, in conclusione, ha riconosciuto a Vtp esclusivamente uno sconto di 1,5 milioni di euro annui sui canoni 2023-2026, ma nessuna proroga concessoria, con il risultato che, dal 2026, le banchine passeggeri del porto di Venezia dovranno essere date in concessione ad altro operatore.
Quale, con quali caratteristiche ed a quale specifico uso non è allo stato noto.
Parola al Tar
Sarà perciò il Tribunale amministrativo regionale del Veneto a decidere dello scontro fra Venezia Terminal Passeggeri, controllata al 53% da Apvs, compagine che include la finanziaria regionale Veneto Sviluppo al 50% e Venezia Investimenti per il restante, e controllata dai tre maggiori gruppi crocieristici del mondo, Costa Crociere/Carnival, Msc Crociere e Rccl, titolari attraverso Finpax di un ulteriore 22,18% di Vtp.
Finisce così, a meno di clamorosi sviluppi della vicenda giudiziario-amministrativa, un’importante fase storica di Venezia e dei suoi operatori portuali, nel corso della quale la città è stato il più importante terminal croceristico del Mediterraneo.
Con l’apporto di operatori portuali ed imprese dall’elevatissima e riconosciuta professionalità, che ha fatto perno sulle attività di Venezia Terminal Passeggeri.
Uno scenario per il porto di Venezia che si fatica certo a definire Serenissimo.
Aria di tempesta anche a Trieste
Dall’altra parte del Golfo invece, il porto di Trieste vede una serie di interventi di livello tra i quali i lavori di restauro del Molo VII, sede della Trieste Marine Terminal, il terminal container del porto giuliano.
È infatti assegnato, per un offerta di 86,2 milioni di euro, l’appalto per il ripristino strutturale, l’ammodernamento della rete elettrica, il prolungamento delle vie di corsa delle gru ed altri interventi minori del Molo, ad una cordata di imprese che dovranno provvedere agli interventi strutturali resi necessari a seguito dei fenomeni di degrado … verificatesi negli anni a causa dell’esposizione della struttura in ambiente marino, lavori propedeutici all’ampliamento del terminal container, che dovranno essere realizzati entro due anni.
I problemi triestini
Trieste conosce un fermento di iniziative, purtroppo da tempo ignote allo scalo veneziano, che vede infatti il gruppo Msc candidarsi al salvataggio dello stabilimento triestino di Wartsila, come ha dichiarato il patron del gruppo, Gianluigi Aponte, intervistato dal Secolo XIX, con l’intento di utilizzare lo stabilimento per la produzione di carri ferroviari.
Lo stabilimento Wartsila produceva motori marini, ma è giunto alla chiusura con portando al licenziamento di 300 persone che, sostiene Aponte nell’intervista, noi riprendiamo e creiamo una fabbrica di carri ferroviari per le merci .. mezzi speciali che permettono di trasportare più carico.
Aria di tempesta gestita da MSC
La MSC è diventata un global player della logistica con interessi differenziati ed integrati, dal trasporto marittimo a quello passeggeri; l’armatore ha infatti da poco acquistato il 50% di Italo, controlla Medway, impresa ferroviaria presente in Italia ed in diversi Paesi europei, e l’azienda logistica MedLog, dopo un tentativo fallito di inserirsi nell’operazione Ita Airways, stoppato dall’aggiudicazione della compagnia a Lufthansa.
Gli investimenti della holding a Trieste rappresentano certamente un valore aggiunto per lo scalo, colpito in questi giorni da una notizia inaspettata, quella della decisione di lasciare l’incarico anticipatamente da parte del Presidente Zeno D’Agostino, al vertice dell’Autorità di Sistema dell’Adriatico Orientale da nove anni.
Le dimissioni di D’Agostino
L’indiscrezione era circolata senza conferme fino all’apparire di un comunicato, con il quale si comunica che Zeno D’Agostino, presidente dell’Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Orientale, ha presentato le sue dimissioni irrevocabili al ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini. Le dimissioni a decorrere dal primo giugno formalizzate con una lettera inviata al ministro e sono dovute esclusivamente a motivi personali e familiari. Il ministro, compresa la situazione, le ha accettate ringraziando il presidente per il lavoro svolto in questi anni al vertice dell’Autorità di Sistema Portuale.
La scadenza del mandato era prevista per fine anno, il 15 dicembre 2024, ma il Presidente Zeno D’Agostino, per ragioni di natura esclusivamente familiare, lascerà l’incarico nei prossimi mesi, prendendosi il tempo per i bilanci finali e i saluti ai lavoratori, cittadini e a tutte le rappresentanze della società civile.
D’Agostino apprezzato da tutti
Nell’esprimere i ringraziamenti istituzionali a livello centrale e locale, il Presidente D’Agostino, in carica dal febbraio del 2015, ha ricordato che in questi anni lo scalo ha lavorato in modo intenso e proficuo. Gli obiettivi raggiunti sono stati eccezionali, ed ora il porto di Trieste, con Monfalcone e il sistema intermodale che abbiamo costruito, è diventato un modello a livello internazionale. Importanti investimenti, un network ferroviario europeo, cantieri aperti e soprattutto nuovi posti di lavoro. Grazie alla comunità portuale e all’impegno quotidiano di tutti i lavoratori, la città ha un nuovo porto proiettato nel futuro. E sono onorato di averlo guidato per quasi un decennio”.
La stima e la considerazione unanime nei confronti di D’Agostino, che hanno portato ad una sorta di rivolta popolare contro il provvedimento che, nel 2020, era stato emanato dall’Anac nei suoi confronti, risultano ancora pienamente condivisi e presenti. Al punto che si parla di una sua possibile candidatura per la guida dell’organo di coordinamento centrale dei porti. Cui l’attuale Governo starebbe pensando in ottica di riforma del sistema di governance degli enti portuali.
Aria di tempesta da affrontare subito
Un possibile nuovo incarico appare infatti un naturale sbocco per una carriera di assoluto rilievo e prestigio internazionale. Che, passando attraverso numerosi incarichi tra i quali manager degli interporti di Bologna e Verona, lo vede come attuale presidente di Espo, European Sea Porto Organization. L’associazione europea delle autorità portuali.
Numerosi ed importanti sono gli apporti che il Presidente ha dato alla portualità adriatica tra i quali il rilancio del Molo VII, che verrà gestito da Msc. L’ottimizzazione degli assi ferroviari, il rilancio del rapporto industria-porto e il pieno inserimento di Monfalcone nel sistema portuale nazionale, precedentemente in posizione di marginalità.
Tutto questo avviene mentre il governo sta lavorando ad un decreto legge che dovrebbe aggiornare le collocazioni del PNNR rispetto al sistema dei porti. Attraverso una trattativa dall’elevato livello di scontro politico interno, del quale si intravedono solamente le ombre.
La bozza
La bozza del provvedimento di riscrittura del Fondo complementare al Piano, prevederebbe di disinnescare la tagliola del 2026. Ma taglierebbe anche le risorse per la conversione al Gnl. In particolare l’articolo uno della versione del decreto che è apparsa il 22 febbraio, stabilisce che alcune poste dovrebbero essere tolte da alcune previsioni per essere assegnate ad altre necessità. Ed, in questo senso la riorganizzazione del Piano Nazionale Complementare al PNRR, comporterebbe la cancellazione del termine del 2026 per la realizzazione degli interventi attualmente previsti, che includono opere portuali varie per oltre 2 miliardi di euro. Tra i quali la diga foranea del porto di Genova, che risulta essere già in ritardo rispetto ai tempi previsti.
Lo spostamento delle risorse avverrà, inevitabilmente, tenendo conto delle eventuali obbligazioni giuridicamente vincolanti che siano già state assunte per le opere finora programmate. E su questa base si definirà la ricalibrazione temporale di alcuni interventi ed il definanziamento o il rifinanziamento di altri.
Sulla base di questo assunto vi saranno alcuni casi nei quali le risorse verranno semplicemente spostate di qualche annualità, come per le linee ferroviarie regionali, il cold ironing e l’ultimo chilometro ferroviario. Per cui si prevede di tagliare i finanziamenti per il 2024/2025 rifinanziando nel 2027/2028. Altri interventi vedranno invece tagli più decisi ed immediati.
Aria di tempesta e rinnovo flotte
E’ il caso del decreto rinnovo flotte che avrebbe dovuto finanziare con 500 milioni di euro la modernizzazione, in senso ecologico e compatibile, delle flotte mercantili. Ma ha ricevuto richieste per soli 185 milioni attestandosi ad un utilizzo reale che, secondo il Sole 24 Ore, è stato di soli 50 milioni di euro.
La stessa Confitarma, associazione degli armatori, ha richiesto una ridestinazione delle risorse. Che, secondo le indiscrezioni apparse, dovrebbe vedere spostati 408 milioni su poste diverse, non ancora comunicate.
Similmente avverrà per il gnl marittimo portuale. Cioè il finanziamento per acquisto e rinnovo di navi a gas naturale. Che non ha avuto l’utilizzo previsto e dal quale verranno recuperati 144 milioni sui 220 stanziati.
Lo spostamento
Di contro vi saranno solo degli spostamenti temporali di risorse per le Autorità di Sistema Portuale. In particolare per lo sviluppo dell’accessibilità marittima e della resilienza delle infrastrutture portuali ai cambiamenti climatici . Che verranno definanziati nel 24/25 per poi ritrovare i finanziamenti nel 2027/2028. Perde invece 30 milioni su 40 la parte de l’efficientamento energetico.
Nel complesso lo scenario dei porti italiani, ed in particolare di quelli adriatici, risulta sempre meno chiaro. Associando alle crescenti tensioni internazionali – in primis la guerra in Ucraina e la pirateria dello Yemen – un insieme di complicazioni interne, almeno in parte evitabili. Che rendono sempre più problematico il loro operare. La programmabilità degli interventi assume infatti una crescente incertezza, economica e gestionale. Che non appare né utile né necessaria ad una piena ed efficace operatività delle nostre strutture.