Nelle vedute antiche della città di Venezia si possono notare ormeggiate nel bacino di San Marco diverse navi. Tra tutte ce n’è una davvero strana, proprio di fronte al Palazzo Ducale: senza alberi e vele e coperta da un telone. A cosa poteva servire un veliero disalberato per il quale, dunque, non erano previsti viaggi in mare? A questa nave tanto particolare la storica Nelli-Elena Vanzan Marchini ha dedicato il suo nuovo saggio, appena pubblicato da Linea edizioni con il titolo La nave dei condannati e folli davanti al palazzo dei Dogi.
Storia di Dogi e di folli

Questa, che potremmo definire una nave-scuola, deve la sua istituzione agli anni tra il 1542 e il 1545, quando il Senato e il Maggior Consiglio della Serenissima, su proposta di Cristoforo Da Canal, stabilirono di ovviare alla scarsità di ciurme di uomini liberi sulle galere. In questo modo si permetteva ai magistrati di scambiare le pene detentive e corporali con il servizio al remo. Così si sarebbe anche potuto alleviare il sovraffollamento delle carceri che rischiava di creare focolai di epidemie. Ormeggiare questa nave, chiamata Fusta, nel cuore pulsante della città costituiva inoltre una precisa ostentazione pubblica della pena.
Come sottolinea Vanzan Marchini: «L’esibizione del dolore e della pena fu, come nota Foucault, un aspetto caratterizzante l’applicazione della giustizia fino alla fine del secolo XVIII, quando tale atteggiamento venne soppiantato da una sorta di pudore giudiziario la cui funzione […] non era quella di esporre al pubblico ludibrio il criminale, bensì quella di esercitare il potere correzionale»,
Nel Settecento ai galeotti sani – che in Fusta imparavano a remare prima del loro imbarco definitivo dove avrebbero scontato il tempo della pena – si aggiunsero anche malati di mente definiti “pazzi furiosi” e dei carcerati ammalati. Se ne trova notizia in una nota dei provveditori all’Armar del 19 gennaio 1727. Tra i compiti del comandante della Fusta menzionano, infatti «il provveder […] degl’utensili occorrenti al mantenimento de’ condannati, dei pazzi e altri che si custodiscono in Fusta, cioè caldiere per le minestre, barille per il vino». Nel corso di due secoli questa nave-scuola era pertanto diventata un luogo che conteneva, oltre alla colpa, la malattia e la pazzia.
Una ricerca accurata

Nel libro, che si avvale di puntuale documentazione archivistica e bibliografica, emergono molte figure e storie personali di quegli infelici, molte vite si intrecciano e sopravvivono attraverso la narrazione.
Come quella, ad esempio, di Giuseppe Paulovich che, «afflitto da “mania malinconica”, catatonico ma innocuo» scamperà, nel 1787, al ricovero in Fusta in quanto non pericoloso per sé e per gli altri. Contrariamente Pietro Reccordini che nel 1794 vi sarà recluso in quanto “furioso”.
Da non sottovalutare l’aspetto economico di queste reclusioni, alternative al ricovero nel convento San Servolo che prevedeva una retta. Infatti «ciò che accomunava tutti gli sventurati folli destinati alla nave […] e che li distingueva dai privilegiati che potevano essere ricoverati a San Servolo, era la miseria».
Dogi e decisioni sui folli
Durante il Settecento questi casi aumentarono. Il rifiuto della follia e di comportamenti devianti trovarono a Venezia una risposta istituzionale all’insofferenza verso la malattia mentale. Un’anticipazione di quell’allontanamento ed emarginazione che divennero poi totali con la creazione di luoghi come l’Ospedale Militare di San Servolo e il Convento di Santo Spirito, collocati in Laguna.
L’autrice

Nelli-Elena Vanzan Marchini, veneziana, laureata in lettere, specializzata in archivistica e paleografia, ha insegnato nelle Università di Venezia, di Vercelli, di Padova e all’Ateneo Veneto. Ha fondato e dirige la “Collana di fonti per la Storia della Sanità” patrocinata dalla Giunta Regionale del Veneto.
Presidente del Centro Italiano di Storia Sanitaria e Ospedaliera del Veneto, ha pubblicato: Le leggi di sanità della Repubblica di Venezia (voll. 5, Vicenza 1995-Treviso 2012), I mali e i rimedi della Serenissima, (Vicenza 1995). Ha spaziato dall’inventariazione e valorizzazione del patrimonio dell’Ospedale Civile di Venezia (La Memoria della salute. Venezia e il suo Ospedale dal XVI al XIX secolo, Venezia 1985; L’Ospedal dei Veneziani. Storia-patrimonio-Progetto, Venezia 1986; La Scuola Grande di San Marco i saperi e l’arte, Treviso 2001) allo studio dei giacimenti culturali della Biblioteca Nazionale Marciana (Dalla scienza medica alla pratica dei corpi, fonti e manoscritti marciani per la Storia della Sanità, Vicenza 1993).
Ha dedicato alla storia della prevenzione internazionale delle epidemie i volumi Rotte mediterranee e Baluardi di Sanità (Milano-Ginevra 2004); Venezia, la salute e la fede, (Vittorio Veneto 2011); Venezia e Trieste. Sulle rotte della ricchezza e della paura (Sommacampagna 2016). Ha curato, fra le altre, la mostra Venezia e i Lazzaretti Mediterranei alla Biblioteca Nazionale Marciana (catalogo, Mariano del Friuli 2004). Nel 2017 la mostra sui lazzaretti di Venezia e di Trieste al Museo del Mare di Trieste in collaborazione con l’Ufficio di Venezia del Consiglio d’Europa. È autrice di saggi e libri sulla storia della Repubblica di Venezia come Venezia Civiltà Anfibia, Sommacampagna 2009; Le Terme di Venezia, Sommacampagna 2015.
Nelli-Elena Vanzan Marchini, La nave dei condannati e folli davanti al palazzo dei Dogi, Padova, Linea edizioni, 2023.
Grazie Annalisa,
la tua recensione al testo non poteva essere più puntuale e coglierne le peculiarità, in primis l’accurata ricerca storica che rende il saggio un testo di riferimento.
Lisa Marra, Linea edizioni
Ho letto questo saggio con vero interesse.