Qualcuno fa confusione tra i tecnovirus creati da noi (e i computer ne sanno qualcosa) e i coronavirus creati dalla Natura, o se preferite, da Gaia, nome poetico della Terra: sono dunque naturali, terrestri come noi, e sono anche cattivi quando ci entrano nel corpo e lì scatenano la loro virulenza riproduttiva diventando massa a ritmo esponenziale: il tutto a nostre spese, poiché ci rubano la salute e addirittura la vita. Infiltrandosi nell’uomo, un animale disponibile ovunque, i maledetti coronavirus hanno trovato un “contenitore” ideale in cui annidarsi, e poiché Homo si muove senza limiti di spazio, ecco che il patogeno può viaggiare in tutto il pianeta.
Con gli altri ceppi virali, l’Uomo come specie ha trovato un accordo (es. i virus dell’influenza), e contro questo “incoronato” ha inventato i vaccini che ci consentono di combattere una guerra difensiva contro un nemico occulto. E la situazione è questa: l’essere più primitivo che esista sulla Terra, addirittura inferiore a una cellula, sta sfidando la società più tecnologica che si possa immaginare: siamo andati oltre la fantascienza.
Abbracciare gli alberi
Un cuore che batte in India può trovare un’eco nel mondo? Sì, dice il saggio, e ricorda che l’ambientalista Sunderdal Bahuguna – morto di Coronavirus alcuni mesi fa – aveva “contagiato” con il suo pensiero mezzo mondo. La sua filosofia, che ha seguaci ovunque, si può condensare in tre parole: “Abbracciate gli alberi”. Cioè ci invitava a fare da scudo alle creature vegetali minacciate di morte, ma anche e direi soprattutto a farne il tramite sensibile con la grande madre Natura.
Una utopia bella e poetica che mi ricorda un frammento di M. Maeterlink (1862-1949) dedicato proprio al popolo delle piante con il quale condividiamo il pianeta: “La pianta sottopone tutta la sua esistenza a un unico fine: sfuggire, uscendo dal terreno, al destino che la obbligherebbe a una vita sotterranea; eludere e trasgredire alle sue leggi di oscurità e pesantezza; liberare se stessa, rompere l’involucro che la costringe, inventarsi delle ali (…) conquistare spazio là dove il destino l’ha racchiusa, avvicinarsi a un altro regno, entrare a far parte di un mondo animato, che si muove”.
Da L’intelligenza dei fiori, 1907.
Professione veterinario
Da persona saputa, quale si considera, ma adesso quasi inorridita, esclama: “Ma quella è un veterinario”, con la consecutio: “E io non mi faccio curare da un veterinario”. Con questa sentenza inappellabile, la signora istruita spiega la sua avversione personale al vaccino (ma lo ha benevolmente consentito al marito e al figlio…) e la diffidenza verso la virologa Ilaria Capua di cui ha letto qualche intervista, unendo così gaffe e ignoranza in un perfetto ircocervo. Basterebbe si fermasse a pensare che i coronavirus sono trasmessi da animali, dunque di competenza della scienziata italiana che vive in America dove la medesima “veterinaria” non visita i malati infetti ma dirige un istituto di ricerca sulle cause di quella epidemia che (ci) uccide.
Nostalgia (poesia)
Crepuscolo: intorno a noi
il buio è vivo di particelle
animate, minimi fuochi d’oro
vagabondi e danzanti.
Sono qui, nel mio sogno,
e sono là sul colle fertile
vellutato di muschio
e profumato di bosco.
Nell’erba vergine, un cuore
di luce accende il respiro
della notte. Ah, stelline d’amore,
lucciole mie, perdute fate,
dove siete volate?
(Anonimo)
Sempre stupendamente di classe! Grazie Ivo