Content creator, campaign management, blogger, writer, videomaker, social media strategist. E chi più ne ha più ne metta verrebbe da aggiungere. Il mondo del digitale ci pone di fronte a nuove figure professionali, ma il limite tra quello che un’azienda ricerca e quello che il professionista può offrire, a volte è molto sottile. La domanda sorge spontanea: quanto gli imprenditori sono consapevoli di quello che fanno queste figure e quanto sono consapevoli del contributo che queste figure possono apportare? Dall’altra parte, quanto queste figure professionali riescono ad avere un profilo definito e quanto sono in grado di trovare il loro posto nel mercato e in contatto con le aziende? Non sono temi semplici, si aprono scenari complessi, ma internet ormai fa parte della nostra vita e le conseguenze di una mancata integrazione del digitale ci sta già facendo pagare amare conseguenze. Sarà Marta Basso ad accendere i riflettori sul tema, e lo fa attraverso la sua seguitissima pagina Linkedin che dedica un lungo post a questi temi che si conclude con: “Perché le parole, quando parlano di lavoro, sono anche dignità. #facciamoordinedigitale” (ndr, link al post originale: https://bit.ly/36Vfpui ).

Chi è Marta
Marta Basso, imprenditrice digitale vicentina o, “quella di LinkedIn”, soprannome che si è guadagnata grazie alla sua continua attività sul noto social (e non solo su quello). La sua formazione avviene tra Italia, Stati Uniti e Regno Unito. Giovanissima, diventa CEO for 1 Month di Adecco Group Italy, lancia il movimento #StopWhining e insieme ad Alessandro Sandionigi fonda “Generation Warriors”. Nel 2021 il Ministero per lo Sviluppo Economico, la nomina Esperta di Alto Livello nella Comunicazione per la Trasformazione Digitale. È autrice del libro “La Duplice Alleanza” e ha anche un sogno:… Comprare il Vicenza Calcio.
Marta, se fossi un imprenditore, come faccio a capire che figura professionale mi serve quando si parla di digitale?
“Ci si deve formare e non c’è alternativa. Mi rendo conto che la formazione sia onerosa anche in un’ottica a lungo termine, ma quando si parla di digitale più che mai, si corre veloci: la formazione è parte integrata del lavoro. Per esempio: come faccio a valutare un fornitore, o un ingegnere, o un meccanico? Devo farlo sulla base delle competenze. Non significa che tutti debbano saper fare tutto, ovvio, altrimenti saremo noi stessi ad occuparci di ogni cosa ed è impensabile, ma se parliamo di digitale è inquietante quanta poca consapevolezza ci sia all’interno del settore. Da imprenditore non sai come orientarti?

Devi affidarti a un’agenzia, a un consulente, devi trovare un modo che qualcuno possa indicarti la via, ma non si può prescindere dalla formazione. In un’ottica meno “romantica” – sono oltre 25 anni che internet fa parte delle nostre vite e non sparirà – questa cosa non è opinabile. Ecco perché la formazione diventa un obbligo. Punto. È una questione anche di “Orientamento del Sé” in termini più umani: se io non so cosa mi serve, devo capirlo, se non so come si chiama devo impararlo e accettare di cambiare e, soprattutto accettare le conseguenze di ciò che scelgo. Ha molto a che vedere anche con l’orgoglio personale di ognuno di noi…”
Se fossi invece un giovane che deve proporsi sul mercato, come scegliere un percorso di formazione adeguato?

“Un discorso che non vorrei che passasse sotto traccia, è domandarsi quanto le scuole e le università preparano al mondo digitale che, ripeto, è veloce. Il vero investimento va fatto in misura 50 e 50 tra curiosità e rilevanza. La curiosità per conoscere il mondo e se stessi. Questo permette in maniera realistica di comprendere come posso integrare effettivamente quelle competenze che mi rendono unico di fronte a un mercato in mutamento e non solo perché in questo specifico momento storico una figura X o Y è più richiesta.
Perché domani potrà non essere più così. Posso fare affidamento su me stesso e sulla mia capacità unica di produrre lavoro. Pensiamo al caso degli sviluppatori: è ragionevole pensare che presto il coding diventerà una comodity e che quindi il contributo delle macchine sarà sempre più preponderante…e quindi questa figura, richiestissima dalle aziende per un certo periodo, che farà? Quando invece parlo di rilevanza, intendo “essere sufficientemente rilevante nel mercato per sapere che quello che sto studiando sia utile effettivamente”. Ecco perché la qualità delle scuole o delle università non può rimanere un argomento sommerso”.
Marta cosa manca in Italia per avere delle figure professionali digitali dalle identità chiara e definita?

“Manca la cultura. Quando si fa innovazione – e quindi anche innovazione digitale – “fare” è importante quanto “raccontare”. Esiste una credenza, soprattutto in certe zone d’Italia, in cui “fare” e “comunicare” sono ai due estremi opposti di un continuum quando invece sono due dimensioni che, si intrecciano e si alimentano vicendevolmente. A volte sembra quasi che se si racconta, allora non stai “facendo”, non stai “producendo” e questa è una visione che non porta nulla di buono. Siamo noi la media company di noi stessi. Che ci piaccia o no. Vorrei porre l’accento sul fatto che comunicare è fondamentale e influisce anche sulle nostre decisioni, una comunicazione interna ed esterna è fondamentale. Se non lo racconti, non si può fare, se lo racconti allora esiste”.