Condannato, quando aveva 26 anni, a quattro ergastoli e a 30 anni di reclusione. Riconosciuta la piena capacità di intendere e di volere per aver ucciso cinque donne tra il 1985 e il 1992, tutte in età compresa tra i 18 e i 41 anni. Uccise con tremende coltellate, abbandonate con seni e parte genitale scoperti. Nessun segno di violenza sessuale sul corpo delle vittime, nonostante l’assassino in sede processuale dirà di aver provato ad avere rapporti con le vittime, nonostante quest’ultime lo avessero poi rifiutato. Fu subito identificato come “il mostro”.
Lo chiamavano il mostro di Bolzano
Marco Bergamo, classe 1966, viene arrestato il 6 agosto del 1992, nel giorno del suo ventiseiesimo compleanno, per l’omicidio della ventenne Marika Zorzi. I sedili posteriori della sua auto sono ancora intrisi del sangue della ragazza. Lo specchietto retrovisore della vettura è mancante. E’ rimasto infatti sulla scena del crimine. Non ci mette molto tempo il carnefice di Marika a confessare anche altri due delitti, quello di Marcella Casagrande, una studentessa diciottenne, la sua prima vittima, e quello di Renate Rauch, 24enne prostituta e tossicodipendente. Continua invece a negare di essere coinvolto anche negli omicidi di Annamaria Cipolletti, un’insegnante 41enne che di notte si prostituiva, e di Renate Troger, che aveva appena 19 anni.
L’infanzia del mostro che terrorizzò Bolzano
Già in tenera età, Bergamo soffre di un disturbo del linguaggio. A cui si aggiungono, in età adolescenziale, l’obesità e la psoriasi. Aspetti quest’ultimi che senza dubbio hanno contribuito all’insorgenza di sentimenti di inadeguatezza, inferiorità rispetto al gruppo dei pari e insicurezza relativamente all’approccio e alla relazione con l’altro sesso.
Oltre ad alcune conclamate problematiche di impotenza sessuale, Marco comincia a provare una vera e propria avversione, odio e disprezzo per il mondo femminile. Dalla figura materna che ha sempre utilizzato nei suoi confronti continui nomignoli e vezzeggiativi, alla poca esperienza in fatto di esperienze sessuali con le ragazze della sua età anche a causa delle sue problematiche fisiche, fino alla definitiva conclusione dell’unica sua relazione con una ragazza, durata qualche mese. Con lei Bergamo non si è mai spinto oltre. Per paura di un rifiuto e per rispetto, dirà poi ai periti incaricati nel corso del processo.
Marco non si sente all’altezza delle donne che tanto disprezza quanto ricerca disperatamente, per avere anche solo un briciolo di approvazione e di riconoscimento. Non riesce ad incanalare in maniera funzionale il proprio normale desiderio sessuale, non sa come farlo se non attraverso un surrogato. Gli basta infatti solo una rivista pornografica, all’inizio. Ma quando i desideri aumentano, ecco che allora le riviste non bastano più. Marco comincia a osservare da lontano gli oggetti del proprio desiderio, le donne, ma rimanendone a distanza, sia fisicamente che emotivamente. Un loro ulteriore rifiuto, il minimo segno di disprezzo per la sua persona e una svalutazione della sua virilità non possono essere in alcun modo tollerati. Gli basta guardare e poi masturbarsi per placare la sua sessualità vissuta senza emozioni, senza contatto, senza relazione.
L’odio e il disprezzo per il genere femminile
Nelle sue più intime e profonde fantasie perverse Bergamo sogna di ucciderle, le donne. Inizia a diventare il mostro che odia le donne. “nei sogni, quando colpisco le donne, lo faccio al cuore e alla testa…si uccidono meglio, si centrano gli organi vitali”. Per Marco la donna deve essere annientata, distrutta. Va annullato ogni suo minimo aspetto che possa ricondurre la sua figura ad elementi come l’emotività, il calore e l’affetto (ovvero “il cuore”) nonchè ad ogni aspetto di razionalità, di capacità cognitiva e di ragionamento, di superiorità (“la testa”). Questo è per lui l’unico modo per poter finalmente acquisire un certo potere sulle donne, per dominarle, sia attraverso la propria virilità che la propria emotività. Le donne quindi, per essere realmente vissute come tali nella loro essenza, devono morire, devono essere uccise.
Nel corso delle diverse perizie disposte in sede processuale per accertare l’imputabilità di Marco Bergamo, egli riferirà di aver sempre avuto un profondo timore delle donne. “la donna mi ha sempre fatto paura. Paura di non essere all’altezza. Questa paura si è trasformata in odio quando ho pensato che una donna mi avesse avvelenato il cane. Era il mio compagno di solitudine, l’amico che non ho mai avuto. La morte del cane mi ha sconvolto. Così ho incominciato ad odiare tutte le donne…”. La colpa è solo loro, delle donne.
Le motivazioni dietro i delitti del mostro
Marco non è in grado nemmeno di ipotizzare una sua personale incapacità di stare in relazione con l’altro in maniera funzionale e positiva, soprattutto con le donne. E quando non si è capaci di sostenere un simile processo all’interno della propria modalità di funzionamento lo si proietta all’esterno, dov’è più semplice gestire un aspetto di sè troppo terribile da sopportare se abitasse dentro di noi. In questo modo sono gli altri a non andare bene, ad essere sbagliati, inadeguati, ignobili, come dirà lo stesso Bergamo riferendosi alle donne. Perchè non è psicologicamente sopportabile pensare di essere noi ad essere realmente così.
Il trigger degli omicidi, ciò che ha fatto scattare in Bergamo il bisogno di annientamento totale e totalizzante della donna, è il rifiuto del rapporto sessuale legato alle sue menomazioni fisiche (all’età di 26 anni, poco prima dell’arresto, a Bergamo viene asportato un testicolo a causa di un tumore), che automaticamente innesca in lui un profondo e travolgente sentimento di inadeguatezza e inferiorità rispetto all’altro sesso e l’incapacità di soddisfare le aspettative nel momento culminante dell’atto sessuale.
Egli stesso infatti dichiarerà ai periti, relativamente alla dinamica dell’omicidio della sua ultima vittima: “visto che avevo un solo testicolo disse che non voleva più continuare. Le ho chiesto di ridarmi i soldi, ma lei si è messa a urlare. Ho provato a calmarla dandole due schiaffi, ma non ci sono riuscito. Mi ha aggredito urlandomi ‘figlio di puttana’. E’ l’ultimo mio ricordo”.
La morte del serial killer che odiava le donne
Nel 2017, all’età di 51 anni, il “mostro di Bolzano” muore in ospedale a causa di un’infezione ai polmoni. Il padre si era suicidato un mese dopo la sentenza, nell’aprile del 1994. Marco Bergamo, il killer che odiava, temeva e desiderava al tempo stesso le donne, non ha mai però smesso di anteporre il suo disprezzo per loro. “…la donna è proprio un essere ignobile, egoista, una persona che usa l’uomo come l’uomo fuma le sigarette. Lo usa e poi, quando è consumato, lo butta via”.