Sono le settimane del ciclismo, fra Giro e Tour. E’ stata la settimana degli 80 anni di Eddy Merckx, il più grande campione di ogni tempo, il cannibale. Mio marito gli aveva rivolto qualche domanda a Parma, al premio sport e civiltà, peccato avere perso il canale. Quella volta c’era anche Marco Pastonesi, de La Gazzetta dello sport, una delle firme migliori delle due ruote. Martedì, dunque, ha festeggiato gli anni tondi, in buone condizioni fisiche e mentali.
Il monumento Eddy Merckx
Oltre 500 vittorie fra strada e pista, 5 Tour, 5 Giri, 19 classiche monumento, tutte vinte almeno due volte, e 7 Milano-Sanremo. E tre Mondiali, più uno da dilettante, un record dell’ora. A fine anno si è rotto un’anca, sono sotto necessari antibiotici e ha dovuto rallentare, con la bici. Riprendiamo qualche risposta da ilmessaggero.it, a Marco Evangelisti, a lungo firma del Corriere dello sport, anche sulla Roma. “Quando ho vinto la prima Sanremo, nel 1966, ho capito di poter vivere di ciclismo. Avevo 20 anni, furono 300 chilometri e lo sprint con Poulidor, Van Springel, Dancelli, Balmamion”. Gli ultimi due, italiani, sono viventi. Altro snodo fu il 1968. “Alle tre cime di Lavaredo, al Giro, recuperai nove minuti a Bitossi. E poi il Tour dell’anno dopo».
Gli inizi di Eddy Merckx

Cominciò con Van Looy, belga, come capitano, passò presto alla Peugeot. “L’uomo forte per il Tour era Pingeon, nelle altre corse niente capitani e poche regole». Fu una bimba a chiamarlo Cannibale, soprannome passato alla storia. “Aveva 11 annni, Catherine, figlia di Christian Raymond, mio compagno di squadra. Telefonò a casa la sera, lei gli chiese: ‘Ma il tuo amico Merckx non ti lascia mai vincere?’ Christian rispose: ‘Mai. Merckx non ci lascia niente’. ‘Ma allora è un cannibale’. E fui cannibale per sempre. La fatica e il piacere sono sempre stati gli stessi. Mi capitò di partire pensando: oggi mi alleno e basta. Invece scattava la voglia».
La famiglia Merckx aveva un negozio di alimentari, Eddy iniziò andando in giro con la bici a consegnare merce

A 24 anni visse un primo caso di presunto doping, che mai ha digerito. Avrebbe vinto il Giro d’Italia, Gimondi era in ritardo di 1’41” e rifiutò di indossare la maglia rosa, comunque poi se la aggiudicò. «Inviammo anche i campioni di urina a un medico legale, che non trovò niente. Rischiavo di perdere il posto in squadra. Non era lo sport di adesso, non si girava con gli uffici legali a rimorchio. Io avevo un agente che mi diceva a quali corse partecipare e basta».
I ricordi di Eddy Merckx

Di recente, a Il Corriere della Sera, ha rivelato: ”Rudy Altig della Salvarani mi offrì soldi per perdere quel Giro. Se avessi accettato, magari non sarei risultato positivo. Non accettai, perchè “un Giro non si vende”. Altig era un suo compagno di squadra, credo che Gimondi lo sapesse. Ho sempre avuto un buon rapporto con lui, con la figlia Norma, ho pianto quando è morto. Sul piano umano andavamo d’accordo.
Ma poi in corsa ciascuno difendeva i suoi interessi. Rivinse il Giro dopo che mi ritirai”.
Comunque Merckx non venne fermato e riuscì a partecipare al Tour.
“E alla fine fu il giorno più bello della mia vita. Erano trent’anni che un belga non vinceva il Tour. Ci pensavo da bambino, ci penso ancora».
I grandi rivali

Fra i rivali, «Gimondi era il più regolare. Lo spagnolo Ocaña faceva male, tra alti e bassi. Non ho mai odiato nessuno, a parte Freddy Maertens quando regalò a Felice il Mondiale del 1973. Mi corse contro. Ma fu questione di una gara. Sento ancora i belgi De Vlaeminck e Van Impe, e poi Italo Zilioli e Davide Boifava”.
Ha sempre avuto la stessa moglie, Claudine, a differenza di tanti sportivi.
E’ stato anche ct, per un decennio, portando al titolo Rudy Dhaenens e Johan Museeuw.
“Mio figlio Axel cominciò a correre e ci fu qualche incomprensione con il presidente federale. Ora mi limito a dare qualche consiglio ad Axel, che ha una squadra negli Stati Uniti”.
Axel è stato un buon corridore, bronzo olimpico ad Atene 2004 e al giro di Lombardia nel 1996, lontano dal mito.
Il Merckx di oggi

L’Eddy Merckx di oggi è Tadej Pogacar, che ha saltato il Giro d’Italia rendendolo più avvincente, diversamente avrebbe vinto lui. Lo sloveno non ha ancora 27 anni, è esploso dal 2021, salvo infortuni può andare oltre i 5 Tour del belga, essendo già a 3, i due giri delle Fiandre (l’ha già appaiato), le 5 Liegi-Bastogne-Liegi (è a 3), ed è già oltre nel giro di Lombardia, 4 contro 2 (più uno revocato per squalifica).
Al Giro d’Italia Pogacar ha partecipato una sola volta, l’anno scorso, naturalmente lo vinse.
I campioni di oggi


A inizio mese è andato a Simon Yates, passato in 7 anni dal dolore alla gioia. L’inglese nel 2018 lo aveva perso sul colle delle Finestre, stavolta lì ha trionfato. All’epoca stava dominando il Giro, in testa dalla sesta tappa. andò in crisi profonda nella Venaria Reale – Bardonecchia (Jaffreau).
Quella giornata viene ricordata per la grande impresa di Chris Froome, che sul colle delle Finestre diede il via all’azione che gli permise di ribaltare la corsa rosa e Yates finì addirittura a 38 minuti di distanza, un distacco record, per i massimi livelli. Pochi mesi più tardi si impose alla Vuelta a Espana. Nel 2021 salì sul podio, nel 22 si infortunò.
Da corridore della Visma-Lease a Bike stacca Isaac Del Toro e Richard Carapaz, sfruttando il grande lavoro di Wout Van Aert che era in fuga e rifilando un distacco pesante ai suoi avversari. La mattina aveva 1’21” di ritardo sul messicano che vive a San Marino e ha chiuso con oltre tre minuti di vantaggio.
Del Toro e Carapaz non trovano l’accordo, nel tratto di discesa il messicano e l’ecuadoriano si parlano, nulla cambia. Carapaz era più indietro, in classifica, difficilmente avrebbe vinto il Giro, Del Toro non ha avuto il coraggio di lanciarsi da solo e l’ammiraglia magari non l’ha consigliato subito.
“Io e Isaac – spiegava Carapaz – siamo stati i più forti sul Colle delle Finestre ma alla fine ha vinto il corridore più intelligente. Alla fine è lui che ha perso il Giro. Non è riuscito a correre nel modo giusto”.
Da Merckx a Del Toro


“A circa metà della salita – rifletteva Del Toro – ho realizzato che davanti a noi c’era anche van Aert e quindi avevo capito che sarebbe potuta finire così. Sono un po’ triste per me e per la squadra, per non essere riuscito a vincere il Giro. Ho dimostrato di poter correre i grandi giri ad alto livello e che come corridore non mi manca nulla. Ho fatto secondo, per pochi era possibile, alla vigilia. Quando sono arrivato al traguardo ho realizzato che comunque anche oggi avevo le gambe per vincere un Grande Giro. Il ciclismo è così e io devo guardare al futuro, ma lo farò col sorriso, il secondo è comunque un grande risultato”.
Ancora Del Toro. “Stavo quasi per vincere, ma è difficile accettare questo quasi. Dovrò sfruttare questo momento per tornare più forte e più pronto la prossima volta. Non andrò a in camera a piangere”.
Carapaz ha ragione? “Ha vinto il più intelligente, in corsa”.
“Senza dubbio, ma complimenti anche alla Visma Lease a Bike. All’inizio Richard voleva far scoppiare tutti e io ho semplicemente seguito. A un certo punto non è più riuscito a tenere quel ritmo e Simon Yates si è riavvicinato. Io conosco Simon, so che ha un sacco di esperienza e che è capace di tenere un gran ritmo. Sapevo di poter rimanere con loro, ma dovevo marcare Carapaz perché era quello più vicino in classifica. Quando Simon Yates, terzo, ha attaccato, Richard che era secondo doveva seguirlo per tenere la posizione. Io avevo 1’20” su Simon quindi potevo permettermi di lasciarlo andare. Ad un certo punto ho detto a Richard che quello era il momento per andare a riprendere Yates, ma che io non avrei lavorato da solo per poi farmi superare sulla salita finale. Mi ha risposto che non avrebbe collaborato perché io non lo avevo aiutato in precedenza. A quel punto ho deciso che, se dovevo perdere la maglia rosa, non avrei mai voluto perdere il 2° posto”.
Ancora l’analisi di Del Toro

“Non ho voluto andare subito a tutta e seguire tutti gli attacchi, perché sapevo che era una salita di un’ora e non aveva senso arrivare a 1000 watt per poi piantarmi. Sapevo che sarebbe andata così, è il motivo per cui perdevo qualche metro sugli attacchi e poi rientravo. Ho corso semplicemente nel modo che ho reputato più intelligente. In cima alla salita il distacco era di circa 2 minuti e ho cominciato a fare la discesa forte, poi ho tirato un pezzo di valle e quando gli ho chiesto il cambio mi ha detto di no. A quel punto non potevo far rientrare Carapaz a 1′ da Simon Yates per farlo attaccare e fargli vincere il Giro. Tutti si sono giocati le loro carte. La Visma Lease a Bike ha fatto molto bene, noi ci abbiamo provato, ma non si può sempre vincere”.
Yates sa di avere toccato il punto più alto della carriera

“Penso lo rimarrà per sempre – spiegava il britannico -. Ho fatto del Giro il grande obiettivo della mia vita ciclistica, ho sbattuto tante volte contro un muro, ma stavolta ce l’ho fatta. E considerando compirò 33 anni in agosto è qualcosa di incredibile”.
Classe 1992, nato a Bury, nei sobborghi di Manchester, Yates è un talento silenzioso Ha iniziato in pista, diventando campione del mondo nella corsa a punti nel 2013, da junior. Professionista dal 2014, vanta una Vuelta a España (2018), un terzo posto al Giro nel 2021 (dietro a Bernal e Caruso), quarto al Tour nel 2023, tappe vinte ovunque.
Se Froome nel 2018 impiegò 64’19” per la scalata, Yates ha frantumato ogni record (che era detenuto da Pablo Torres, 60’25” al Tour de l’Avenir 2024), completandola in 59’23”e divenendo il primo a chiudere i 18,4 km al 9,2% in meno di un’ora.
Fratello gemello di Adam, anche lui ciclista di vertice per la Uae Team Emirates nonché gregario di Del Toro, Simon è sempre stato quello più costante.
Non parteciperà al Tour, al via sabato 5 luglio a Lille. Lo scorso anno l’arrivo fu a Nizza, per via delle Olimpiadi, ora si ritorna al classico sugli Champs-Élysées, ma senza passerella semplice: 132 km con tre scalate consecutive a Montmartre, l’ultima a meno 6 km, proprio sulla falsariga di quanto accaduto a Parigi 2024. Si festeggiano il cinquantennale del primo arrivo sugli Champs-Élysées e della prima vittoria assoluta di Bernard Thévenet, su Merckx.
Un Tour senza Merckx

Ci sono due cronometro, di cui una di appena 11 km. Come sempre, due riposi (15 e 21 luglio, a Tolosa e Montpellier). Sei tappe di montagna di cui tre nella settimana decisiva. In totale sono 7 tappe pianeggianti, 6 collinari, 6 di montagna e 5 arrivi in salita.
Si parte da Lilla con un percorso inizialmente meno duro, la prima tappa di montagna è prevista il 14 luglio, nella decima frazione. La settimana decisiva è sempre la terza, con tre tappe di montagna, arrivi importanti come a Courchevel. Torna il Mont Ventoux dopo un’assenza di quattro anni e la vetta sarà il finale di tappa, l’ultima volta fu nel 2016. Le due crono, seppur distanti dall’ultima tappa, possono rivelarsi importanti per la classifica.
Il danese Jonas Vingegaard arrivò in condizioni non ottimali lo scorso anno, vuole riprendersi il trono conquistato nel 2022 e nel 23.
Chi fece doppietta prima di Pogacar



Pogacar è stato il primo a centrare la doppietta Giro-Tour dal compianto Marco Pantani nel 1998. Primo fu il campionissimo Fausto Coppi nel 1949 si ripetè nel ’52. Seguirono il francese Jacques Anquetil nel 1964 Merckx che riuscì nell’impresa per tre volte (1970, 1972 e 1974). Poi il francese Bernard Hinault conquistò la doppietta Giro e Tour nel 1982 e nel 1985. Stephen Roche si aggiunse alla lista nel 1987. Lo spagnolo Miguel Indurain realizzò il “double” per due anni consecutivi, nel 1992 e nel 1993.
Pogacar sarà il primo in 34 anni a presentarsi alla Parigi-Roubaix da detentore del titolo nella Grand Boucle. Da podio anche Remco Evenepoel, il belga parte indietro rispetto ai due dominatori degli ultimi 5 anni del Tour, ma arriva comunque da detentore della maglia bianca di miglior giovane.
Fra gli italiani, Alberto Bettiol cercherà una vittoria di tappa, avvicinata tre anni fa.
Giulio Ciccone, abruzzese, cercherà di chiuedere fra i primi 10, punta alla classifica a punti, alla maglia degli scalatori. Matteo Sobrero, di Alba, Cuneo, è un altro interessante, sarà al fianco di Roglic, ritiratosi al Giro d’Italia per le solite cadute.
Comunque, lo spettacolo del ciclismo sta per ripartire.