La Shoah rappresenta una delle pagine più tragiche e indelebili della storia umana, un capitolo segnato da odio, discriminazione e sterminio sistematico. Per comprendere appieno l’orrore che si consumò nei campi di sterminio, è necessario ripercorrere le tappe che portarono all’apice della barbarie: un viaggio che in Italia iniziò formalmente nel 1938 con l’introduzione delle Leggi Razziali. Oggi riportiamo la testimonianza di Nonna Olga, sopravvisuta allo sterminio.
Il 5 settembre 1938, con la firma da parte del re Vittorio Emanuele III del Regio Decreto Legge n. 1390, si posero le basi legali per la discriminazione sistematica degli ebrei in Italia. I provvedimenti, voluti dal regime fascista di Benito Mussolini e ispirati dall’ideologia razzista del nazionalsocialismo hitleriano, sancirono l’esclusione degli ebrei dalla vita pubblica e sociale. Tra le disposizioni principali vi erano il divieto per gli ebrei di lavorare nella pubblica amministrazione, di esercitare professioni intellettuali come l’insegnamento e di frequentare scuole e università statali. Gli ebrei furono schedati, espropriati di beni e attività economiche e segregati in un isolamento crescente. Decreti frutto di una precisa scelta politica, un’adesione volontaria del regime fascista alle logiche razziste dell’alleato tedesco.
La radicalizzazione: dall’emarginazione alla deportazione

L’alleanza tra Italia e Germania nazista si consolidò con l’entrata in guerra del 1940. Tuttavia, fu l’8 settembre 1943, con l’armistizio e l’occupazione nazista del Nord Italia, a segnare l’inizio della fase più drammatica per gli ebrei italiani. La nascita della Repubblica Sociale Italiana (RSI) portò a una collaborazione attiva del fascismo con il Terzo Reich, includendo la deportazione degli ebrei verso i campi di concentramento.
Con il famigerato ordine di polizia n. 5 del novembre 1943, firmato da Giovanni Preziosi e voluto da Mussolini, si avviò la cattura sistematica degli ebrei. I rastrellamenti nelle città italiane, come quello al Ghetto di Roma del 16 ottobre 1943 e quello al Ghetto di Venezia, culminarono nell’arresto e nella deportazione di migliaia di persone. Da Fossoli e Bolzano, campi di transito sul territorio italiano, i deportati vennero trasferiti ad Auschwitz e in altri luoghi di sterminio.
La macchina dello sterminio nazista

Auschwitz-Birkenau divenne il simbolo della Shoah, il luogo dove l’orrore si manifestò nella sua forma più estrema. Qui, milioni di ebrei, ma anche rom, omosessuali, prigionieri politici e altre categorie perseguitate, furono annientati nelle camere a gas, nei forni crematori e attraverso lavori forzati.
Il genocidio fu progettato nei minimi dettagli: la Conferenza di Wannsee del gennaio 1942 definì la “Soluzione Finale”, il piano per l’eliminazione totale degli ebrei d’Europa. Entro la fine della guerra, sei milioni di ebrei hanno perso la vita, vittime di un’ideologia fondata sull’odio e sulla disumanizzazione.
La liberazione: il 27 gennaio 1945

Il 27 gennaio 1945, le truppe sovietiche della Prima Armata del Fronte Ucraino giunsero ai cancelli di Auschwitz. Lo spettacolo che si presentarono davanti fu di un orrore indescrivibile: cumuli di cadaveri, prigionieri scheletrici e sopravvissuti che vagavano in condizioni disumane.
La liberazione di Auschwitz segnò simbolicamente la fine della Shoah e divenne una data fondamentale per la memoria collettiva. Nel 2000, la Repubblica Italiana e altri Paesi istituirono il Giorno della Memoria, proprio il 27 gennaio, per commemorare le vittime dell’Olocausto e riflettere sulle atrocità del passato affinché non si ripetano.
Il dovere della memoria

Ricordare la Shoah non è solo un atto di giustizia nei confronti delle vittime, ma un monito per le generazioni future. Le Leggi Razziali e l’Olocausto dimostrano quanto velocemente la società possa scivolare nell’abisso dell’odio e della violenza quando vengono negati i diritti fondamentali e la dignità umana.
In un’epoca in cui i segnali di intolleranza e negazionismo riemergono, il ricordo della Shoah diventa ancora più urgente. È nostro compito mantenere viva la memoria, affermare i valori di uguaglianza e rispetto e vigilare contro ogni forma di discriminazione.
All’M9 per la Giornata della Memoria l’incontro con “Nonna Olga”

In occasione della Giornata della Memoria, commemorata presso l’Auditorium M9 di Mestre lunedì scorso 27 gennaio, è stata ospite “Nonna Olga”, come preferisce farsi chiamare, accompagnata dalla vice presidente nazionale ed anche presidente della sezione di Venezia dell’ ‘’Associazione Figli della Shoah” Marina Scarpa Campos, insieme all’amico collega dottor Daniele Zuccato.
Olga, 100 anni il prossimo 26 giugno, è una delle voci che emerge dal silenzio degli anni più bui della Shoah, protagonista di una vicenda che incarna la resilienza e la casualità del destino. La sua storia è raccontata nel libro Ebrei per caso, un’opera che raccoglie testimonianze di chi, pur essendo designato come vittima dall’ideologia nazista, perché ebrea, riuscì a sfuggire alla macchina dello sterminio. Olga parla di tre angeli che le hanno salvato la vita nel corso di quei anni e di quelle avventure piene di paura, tensione, durante la fuga.
Nonna Olga era una ragazza la cui vita viene sconvolta dalle leggi razziali e stravolta dopo l’Armistizio dell’8 settembre 1943, quando coll’occupazione nazista le retate per la deportazione degli ebrei divennero una tragica realtà. Olga, con la sua famiglia, si trovò improvvisamente nel mirino dei collaborazionisti fascisti e delle forze tedesche. A quel tempo, essere ebrei significava vivere in un costante stato di terrore.
La fuga e la salvezza di Nonna Olga

Olga racconta di come la sua salvezza fu legata a una serie di decisioni prese all’istante come quel giorno in cui erano seduti a tavola nella loro casa del Lido davanti a una minestra di riso e patate quando suonò alla porta un funzionario del comune che conosceva il papà di Olga e gli consigliò di scappare perché il loro nome era in cima alla lista. Loro erano ebrei di origine belga ed il cognome ovviamente era stato notato. Immediatamente compresero la gravità della situazione e così come erano, senza nulla, scapparono, trascorsero una notte in una casa di una zia al Lido e il giorno dopo decisero di prendere un treno per Nervesa della Battaglia, dove avevano dei parenti pronti ad accoglierli.
La famiglia di Nonna Olga

Il papà nel frattempo andò a Roma, dove viveva suo fratello, anche lui in pericolo, che però aveva trovato il modo di ripararsi e attraverso molti contatti avrebbe potuto fornire documenti falsi. Il papà di Olga ritorna a casa con la speranza di portare la famiglia a Roma e sistemare le cose. Nel frattempo Olga fu colta da un forte attacco di appendicite, sfociata in peritonite, venne quindi portata in ospedale e operata dal chirurgo Colasanti che si prese cura di lei, non volle documenti, la operò e la mise in un reparto al sicuro. Uscita dall’ospedale, decisero di partire per Roma, per raggiungere lo zio, ma un grosso bombardamento colpì la città di Firenze, le comunicazioni con la capitale erano interrotte così decisero con rammarico di ritornare indietro, il treno li riportò a Nervesa della Battaglia.
Dalla zia che li ospitava vennero a sapere che alcuni parenti si erano rifugiati sull’Altopiano di Asiago , così presero tra ansia e terrore di essere fermati l’ennesimo treno che li portò a Bassano del grappa e da lì si incamminarono a piedi attraversando la pericolosa Val Franzela, dove decisero di separare la famiglia: la mamma ed il fratello salirono su una corriera che li portò a Gallio, il papà andò avanti da solo. La valle era minacciosa e pericolosa, lo zio consiglio di non parlare mai e se avesse avuto qualche cedimento avrebbe dovuto su suo consiglio cadenzare il passo con DAI DAI FA MORIR, un ritornello continuo.
Chi aiutò Nonna Olga

Alla fine si ritrovarono tutti a Gallio in una casa dove lo zio spesso andava perché amante della montagna. Furono aiutati da Costante Martello, un guardaboschi che consegnò allo zio le chiavi di una casera, isolata a 1640 mt, era la Malga Boscosecco. Fu per loro un rifugio difficile poiché la malga era senza corrente senza acqua e senza vetri alle finestre. Ma riuscirono resistere al gelo e alla paura di essere scoperti o di essere traditi da delatori prezzolati. Alla fine Olga e suo fratello divennero abili tra le valli a salire e a scendere per le provviste, e quando capirono che la Germania stava iniziando a cedere e molte città erano state liberate dopo l’arrivo degli Alleati decisero di scendere e lasciare il rifugio. Boscosecco è rimasto sempre nel cuore di Olga, tanto che nel 2006 con il fratello e accompagnati da Mario Rigoni Stern deposero una targa.
Durante la fuga la famiglia di Olga ha trovato tante persone che si rifiutarono di voltarsi dall’altra parte, di “giusti” come furono denominati. Spinti da coraggio e determinazione, contro un nemico radicato ovunque. Non fu solo questione di fortuna per Olga, di avere la capacità di adattarsi, di mascherare la propria identità e di fidarsi non senza paura . Ma fu determinante chi in quella situazione drammatica era capace di offrire aiuto rischiano la propria vita.
Il racconto di Nonna Olga

In Ebrei per caso, Olga racconta la sua vicenda con un’onestà disarmante, sottolineando quanto il caso abbia giocato un ruolo fondamentale. La casualità, nella Shoah, separava spesso la vita dalla morte. Un attimo di ritardo, una decisione sbagliata o semplicemente l’essere nel posto sbagliato potevano significare la deportazione e il conseguente annientamento.
Il racconto di Olga non è solo un memoriale personale. Ma anche un documento storico e umano che illumina le pieghe meno note della persecuzione antisemita. La sua storia non è unica, ma rappresenta un filo del tessuto di resilienza e sopravvivenza che attraversò la comunità ebraica in quei terribili anni.
Il significato della memoria per Nonna Olga

Oggi, Olga è una voce della memoria che invita le nuove generazioni. Ha iniziato nel 1995 quando i nipoti iniziarono a chiedere ai loro nonni di raccontare quanto era accaduto. E “Nonna Olga“ da allora non smise mai di farlo spingendo a non dimenticare. La sua testimonianza, come quella di tanti altri sopravvissuti, è un faro che illumina il passato affinché il presente e il futuro non ricadano nell’oscurità.
Nel raccontare la sua esperienza, Olga ci ricorda quanto siano fragili i confini tra normalità e barbarie. E quanto sia importante, anche nei momenti più bui, trovare il coraggio di resistere. Perché, come dimostra la sua storia, ogni vita salvata è una vittoria contro l’odio e un atto di fede nell’umanità.
Alla fine del suo intervento, a nonna Olga è stato consegnato un mazzo di fiori gialli da parte di Mestre Mia. L’Associazione che ha promosso e curato l’evento, presieduta dal dottor Andrea Sperandio. Olga ha voluto di fronte ad un pubblico di giovani che la applaudivano con tenerezza e commozione, dedicare quei fiori a tutti coloro i quali non sono mai più tornati, sono stati sterminati.
Nonna Olga e un fiore particolare

In particolare Il crocus giallo è un simbolo di memoria utilizzato per ricordare i bambini vittime della Shoah. Questo fiore, delicato ma resistente, richiama in particolare il milione e mezzo di ebrei sterminati dai nazisti. È stato scelto non solo per il suo colore giallo, che evoca la Stella di Davide imposta agli ebrei dai nazisti. Ma anche per la sua capacità di sbocciare persino in condizioni difficili, rappresentando speranza e rinascita. Il “Progetto Crocus”, promosso dalla Fondazione irlandese Holocaust Education Trust Ireland (HETI), è un’iniziativa educativa volta a sensibilizzare le giovani generazioni sul tema della Shoah e sull’importanza della memoria storica.
L’idea centrale è coinvolgere studenti delle scuole di diversi Paesi nella piantumazione di bulbi di crocus gialli. Un gesto simbolico per commemorare i bambini che persero la vita durante l’Olocausto. Questo progetto rappresenta anche un messaggio positivo: dalle ceneri di un evento tragico come la Shoah, è possibile far germogliare insegnamenti di pace e convivenza. Questo progetto non solo insegna la storia, ma costruisce consapevolezza. Contribuendo a formare cittadini che possano riconoscere e combattere ogni forma di odio, discriminazione e ingiustizia. Un insegnamento che, come il crocus, deve continuare a fiorire di generazione in generazione.
Olga chiude il suo libro “Ebrei per caso”, con un ringraziamento a quegli “angeli” che li hanno aiutati. Non hanno avuto medaglie, menzioni, cippi, ma soltanto un grazie…. Un grazie alla vita perché attraverso loro la vita è continuata per le generazioni che vennero, dei figli dei figli e di quelli che verranno.