La guerra in Medioriente richiama le nostre coscienze al bene supremo della Pace, che sembra però restare inaccessibile all’umanità. Il movimento Darsi Pace, fondato da Marco Guzzi, si richiama ai principi enunciati da Hetty Hillesum, filosofa vittima ebrea dell’Olocausto: “Una pace futura potrà esser veramente tale solo se prima sarà stata trovata da ognuno in se stesso – se ogni essere umano si sarà liberato dall’odio contro il prossimo, di qualunque razza o popolo, se avrà superato quest’odio e l’avrà trasformato in qualcosa di diverso, forse alla lunga in amore, se non è chiedere troppo. E’ l’unica soluzione possibile”.
Il movimento Darsi Pace
Partendo da riflessioni riguardo le più importanti testimonianze a livello culturale, filosofico e spirituale, il movimento Darsi Pace (https://www.darsipace.it/) vuole dare il proprio contributo per la realizzazione di esperienze concrete di trans-formazione personale, da vivere appunto in Gruppi, per aiutare l’emersione della nostra umanità pacificata. I gruppi Darsi Pace sono perciò anche un laboratorio di rinnovamento degli itinerari iniziatici cristiani, che richiedono un radicale aggiornamento e approfondimento.
Ne abbiamo parlato con un praticante di lungo corso, l’astrofisico romano Marco Castellani.
La situazione a Gaza, dopo il terribile attacco terroristico di Hamas in Israele, sta volgendo alla catastrofe come denuncia anche l’Onu con decine di migliaia di morti e milioni di sfollati. Noi ci sentiamo impotenti: cosa possiamo fare?
“Dice Francesco nella enciclica Fratelli Tutti, che “Il modo migliore per dominare e avanzare senza limiti è seminare la mancanza di speranza e suscitare la sfiducia costante, benché mascherata con la difesa di alcuni valori.” Non è dunque un caso che noi ci sentiamo impotenti, giacché esiste un gigantesco apparato mediatico ed informativo (o piuttosto, disinformativo) che si muove perseguendo questo esatto scopo, farci sentire impotenti. Eradicare dalla nostra mente l’idea che noi possiamo fare qualcosa per cambiare la situazione, è la sua priorità.
In questo modo, ben presto torneremo rassegnati al nostro ruolo di quieti consumatori, magari affidando le nostre irrequietudini “misteriose” ad uno psicologo o ad un santone, o immaginando, chessò, che la Terra sia piatta: non rischieremo comunque di disturbare il manovratore. Anche quando le sue manovre sono sanguinarie ed inumane, come purtroppo si manifestano nel caso presente, nonostante la cortina ipnotica di propaganda che viene elevata attraverso tutti i media (con rarissime eccezioni) per impedirci di vedere e di capire”.
Come si può combattere il senso di impotenza che ci pervade?
“Così scriveva già alcuni anni fa Marco Guzzi nel volume “Buona Notizie”:
“È paradossale: più le sfide storiche diventano impellenti ed estreme, più sarebbe perciò urgente e necessario un incredibile slancio creativo a tutti i livelli, e più l’essere umano sembra avvilirsi e perdere coraggio e vitalità. Anche qui probabilmente si segnala un prossimo punto di rottura, allorché l’accumulo delle urgenze non corrisposte, dentro e fuori di noi, a livello esistenziale come a livello planetario, potrebbe costringerci a cercare nuove fonti vitali, un nuovo inizio”.
Questa ricerca di un “nuovo inizio” si traduce poi in un lavoro costante dell’individuo, che nella misura in cui si libera dall’alienazione, diventa cosciente e consapevole di ciò che ha intorno e “naturalmente” si intreccia con i suoi fratelli e le sue sorelle per produrre opere che portino verso un modo differente. Ma per sconfiggere la guerra fuori di noi, dobbiamo prima non aver paura di guardare tutte le guerre che albergano dentro noi stessi e porre mano all’aratro per il lavoro di bonifica interiore, per quel santo viaggio di cui parla il salmista (Sal 83). Come ben insegna la storia del secolo scorso, uomini e donne non pacificate, pur mossi da istanze sacrosante, non potranno che perpetuare tristemente quel “ciclo del sangue” che ormai oltre ad essere inumano appare totalmente antistorico”.
Quando hai conosciuto il movimento Darsi Pace?
“Mi sono avvicinato a Darsi Pace nel 2014, spinto da una inquietudine interiore alla quale, al tempo, non riuscivo a dare connotati precisi. L’occasione fu la lettura (diciamo) occasionale di un post Facebook che mi incuriosì immediatamente – oltre che per il contenuto, che sembrava vibrare sulle esatte frequenze della mia ricerca – per la sigla cui era associato, quel Darsi Pace che pareva echeggiare la popolare esortazione romanesca, ma datte pace! Da lì, sono arrivato alla sorgente, ho scoperto l’esistenza di questa associazione (oggi fondazione) che proponeva in modo ragionato e organico proprio quel percorso che io – tra letture e riflessioni personali – stavo tentando di organizzare in modo più parziale e disordinato: quello sguardo moderno sulla fede cristiana, che nell’accoglienza dei tesori della tradizione non rigetta niente della modernità (dalla filosofia alla letteratura, dalla musica fino alla psicanalisi) e dell’apporto che altre tradizioni (specialmente quelle orientali) portano all’esperienza del sacro”.
Qual è stata l’occasione di incontro con Marco Guzzi, fondatore di Darsi Pace?
“Fu un percorso di avvicinamento davvero emozionante. Andai ad ascoltare Marco Guzzi, con una amica, in occasione di una delle sue tante conferenze. Era il 27 marzo del 2014 (proprio dieci anni da adesso, a pensarci). Ricordo che era tenuta in una chiesa del centro di Roma, la Basilica di San Nicola in Carcere. A valle del suo avvincente intervento ebbi occasione di parlargli per la prima volta e apprezzai subito la sua capacità di attenzione (che mi sbalordì, poiché mi aveva già “individuato” mentre mi avvicinavo lungo la navata, appena sulla base di due o tre commenti che avevo inserito su Facebook). Era fatta. Nell’ottobre di quell’anno mi iscrissi al primo anno dei corsi, ed iniziò dunque questa nuova bella avventura che, superati i fisiologici momenti di crisi e di dubbio, continua ancora oggi”.
Da scienziato qual è il suo impegno per la pace?
“Coerentemente con il lavoro che faccio, il mio è principalmente un impegno di stimolo e di riflessione. Sono stato invitato – ed ho partecipato con particolare interesse – alle prime due edizioni del meeting internazionale “La Scienza per la Pace”. Tale iniziativa è promossa dalla diocesi di Teramo-Atri e dall’Università degli Studi della città in collaborazione con la Pontificia Accademia delle Scienze, il Ministero dell’Università e della Ricerca, i Laboratori Nazionali del Gran Sasso-INFN ed altre importanti realtà, dell’ambito accademico e spirituale. Prendo parte ad iniziative come quella del Centro per la Pace di Forlì del 2022, dove sono stato chiamato a relazionare proprio su questo tema. Può sembrare poca cosa un tale impegno, nondimeno uno sforzo di riflessione matura e libera appare irrinunciabile e noi scienziati non possiamo e non dobbiamo tirarci indietro”.
Qual è per lei di Darsi Pace il nesso tra fede e scienza?
“Credo che si potrebbe riassumere il tutto con la bella frase di Einstein, “La religione senza la scienza è cieca. La scienza senza la religione è zoppa”. Sono ambiti che si possono – e si devono – integrare l’uno con l’altro, senza nessun attrito, ma con una prospettiva di mutuo completamento. Il problema piuttosto mi sembra diverso, è che mentre la scienza si rinnova continuamente, la visione della fede deve pure rinnovarsi secondo la sensibilità dei nostri tempi, o veramente rischierà di non interessare più nessuno.
Dobbiamo avere il coraggio al quale spesso ci esorta questo Papa, per iniziare a parlare un nuovo linguaggio: non c’è bisogno di rinnegare la tradizione per innovare. “Tradizione è conservare il fuoco, non adorare le ceneri” diceva Gustav Mahler, in una frase ripresa anche da Papa Francesco. Come conservare il fuoco? Come rimettersi in gioco, superando antiche paure e inattuali tabù? Queste sono le domande da porsi, oggi”.
Come prega uno scienziato di Darsi Pace?
“Mi verrebbe da dire, che quando prega, prega come tutti, perché è proprio la preghiera il luogo spaziotemporale in cui non c’è bisogno di inventare nulla, ma di lasciarsi finalmente andare, affidarsi. In Darsi Pace impariamo a far precedere la preghiera da una fase di meditazione, per acquietare i moti del cuore e sintonizzarsi sulle giuste frequenze. Meditazione e contemplazione, dunque, come tutte le grandi tradizioni insegnano. Ma già porsi sotto la meraviglia del cielo stellato vuol dire mettersi in atteggiamento contemplativo, quasi divenire partecipi di una preghiera cosmica, che il proprio cuore si sorprende a recitare senza parole”.
Le stelle della volta celeste abbracciano l’umanità, quando l’umanità abbraccerà se stessa?
“Il cielo stellato è veramente un abbraccio, “la luce delle stelle chiare, come un rifugio capovolto” come cantava poeticamente Fabrizio de André nel brano Dolce Luna. In questi tempi dilaniati tornare al cielo, in senso culturale e spirituale, è rendersi conto di come siamo davvero “tutti” fratelli e sorelle, per dirla ancora con Papa Francesco. Ritengo infine che, per uno scienziato, pregare è anche riconoscere che la scienza non basta, che la scienza – per quanto sia una avventura emozionante – non risponde a nessuno degli interrogativi esistenzialmente più pressanti.
Come ha detto Wittgenstein, “Noi sentiamo che, anche una volta che tutte le possibili domande scientifiche hanno avuto risposta, i nostri problemi vitali non sono ancora neppur toccati” . Nessuno può dire, infine, quando l’umanità abbraccerà sé stessa, ma meditare e pregare perché questo avvenga vuol dire fin d’ora, a qualsiasi fede si appartenga, lavorare esattamente ed attivamente per questo, assieme a tutte le sorelle e i fratelli che, su mille cammini, condividono la nostra stessa speranza”.