Questa intervista mi è stata rilasciata da Robin Wood, il papà di Dago (e non solo) poco meno di due anni fa in occasione dei 40 anni del “Giannizzero nero”. Quasi due anni fa il grande sceneggiatore ci ha lasciato per un male incurabile. È stato uno dei più grandi nel suo mestiere, “il miglior sceneggiatore del mondo” lo ha proclamato nel 1996 l’ambitissimo premio Yellow Kid, una specie di Oscar per il fumetto. Argentino, a lui si devono personaggi come Nippur di Lagash, Dago appunto, Savarese, Gilgamesh, Martin Hel, i legionari di Qui la Legione e Amanda e Pepe Sánchez. La sua abbondante produzione è pubblicata in italiano quasi esclusivamente dall’Eura Editoriale (poi divenuta Editoriale Aurea). Un’importante eccezione è rappresentata dal nono albo gigante di Dylan Dog uscito nel 2000.
Ecco l’intervista.
Quanta strada ha fatto Dago dalla sua prima apparizione in Nippur Mágnum Todo Color numero 1 di 40 anni fa? Quanta strada ha invece fatto Robin Wood?
«La strada di Dago è appena iniziata. È appena iniziata perché ogni giorno troviamo nuove cose. Vede… la fantasia è un cane che ti mangia vivo. Dago l’ho cominciato quarant’anni fa, oggi io continuo, anzi continuiamo, a sentirlo come nuovo e come se fosse iniziato ieri. La domanda che ci facciamo è sempre questa: è iniziato ieri? Oggi lo faremo meglio. Abbiamo una gran passione per il personaggio. Questo è amore e Dago è un figlio. Un figlio un po’ troppo grande e cattivo, ma i figli non sono mai perfetti. Per quel che riguarda la mia carriera… scrivo, niente di più straordinario di quello. Lo faccio con piacere, lo faccio tutti i giorni; quando non lavoro per tre o quattro giorni non mi sento bene, devo fare qualche cosa. Sono fortunato, ho trovato un lavoro che mi piace ogni giorno di più, amo il mio pubblico e senza il pubblico non esisto. Il pubblico mi ha fatto, non sono io ad aver fatto il pubblico. Per questo sono dedito a loro e faccio il mio meglio per essere degno di loro».
Grazie a Dago continua ad avere numerosi fan in tutto il mondo e soprattutto in Italia: come mai?
«Semplice, Dago è umano. Non è un supereroe, non è un cattivo, è tutto questo insieme. Può essere un eroe e anche cattivo. Dago è un uomo cui piace, la sera, prendere un po’ di vino, prosciutto, pane e guardare il mare. Uno che s’innamora… un poco sì e un poco no; l’amore è una cosa personale di ogni uomo e ogni donna. Dago fondamentalmente è un uomo buono, ma può essere crudele, crudele contro un uomo crudele, mai contro uno che non si può difendere. Dago è famoso perché è umano, semplice, non c’è una ragione precisa».
Robin Wood, come si riesce a mantenere vivo e attuale un personaggio dopo tanto tempo?
«Io non penso mai quando scrivo, non so cosa vado a scrivere, non ne ho idea. Incomincio e penso: “Beh cosa faccio? Boh?” Pianificare, non esiste; la prima riga, quella esiste. “Il sole si è alzato… bla, bla… biondo… fuoco nel cielo…” e tre ore dopo è fatto. A mano, perché non scrivo con la macchina o col computer. Dopo sì, per fare la guida dei disegni e tutto il lavoro tecnico, allora uso il computer, ma la creazione non posso farla altrimenti. Ho provato con la vecchia macchina per scrivere, anche con il computer, anche con un registratore, ma non posso. Non va, ho bisogno della mano, della penna, della carta e quello è tutto. Niente di più, niente di straordinario: semplice al 100%».
È moderno anche se vive le sue avventure nel mondo di seicento anni fa.
«Esatto, io ho letto le memorie di Benvenuto Cellini, amico di Dago e ho pensato: “Questo può essere scritto oggi”. La sua mentalità era la mentalità di un’epoca, ma era un uomo pensante, era un ribelle. L’uomo continua a essere uomo; le cose cambiano ma l’uomo è se stesso, non cambia. Cellini parlava di donne, della festa, dell’avventura. Quello è un sogno di oggi, un sogno di sempre e qualcuno aveva il coraggio di cercarlo, trovarlo, viverlo. Dago non è Cellini; ad esempio Dago non cerca l’avventura. È l’avventura che va da lui, lui non è un cacciatore di donne, ma non dice mai no. Se una gli chiede di andare a letto, lui risponde ”Se insisti, farò uno sforzo, ma va bene».
Robin Wood, in parte ha già risposto ma si è mai trovato in difficoltà nel pianificare il viaggio di Dago?
« No, ho la difficoltà di non poter fargli fare tutto quello che voglio. Ad esempio, adesso sto facendo il Verdi, una saga lunghissima. Mi hanno chiamato dal Teatro Regio di Parma, io non sapevo niente e il colloquio si è svolto, più o meno, così: mi hanno detto: ”Senti Dago è un eroe, tutto il mondo legge Dago. Giuseppe Verdi: tutto il mondo conosce la musica di Verdi, ma della persona di Verdi, cosa si sa? Tu puoi fare qualcosa? Non sappiamo come, ma puoi fare “Dago e Verdi”?” Ho pensato: “Si può fare? 1500 e 1800, come si può fare?” Ho continuato a pensare e ho detto loro: ”Fatto.” “Come?” mi hanno risposto “Ho già capito come farlo” “Ma come? Ha già capito.” “È fatto… ho l’idea, tutto chiaro, non abbiamo nessun problema.” Ho detto io. “ Ah mannaggia…e quando incominciate?” hanno risposto loro. “Iniziamo oggi.”…ed ho iniziato, abbiamo due già due capitoli della prima parte che si chiamerà “Nabucco” ».
I disegni del team up Dago e Verdi di chi sono stati?
«Disegni di Carlos Gómez. La storia è in due parti: la prima parte si concentra su Verdi quando incomincia, giovane fracassato, tutto disperato per la morte della sua signora e dei suoi bambini, il fracasso della sua opera buffa “Un giorno di Regno” e Solera che porta il libretto di Nabucco. Verdi non vuole scrivere, ma prende un libro che Merelli gli porta dicendogli: “Prendi Giuseppe, puoi leggere questa storia di un monaco che ha fatto una ricompilazione della storia di un rinnegato, schiavo e bandito del 1500.” E così Verdi incomincia a leggere di Dago.
Non è strano?
«No. Diventa tutto un sogno onirico in cui Dago è amico e ispiratore del maestro. E Verdi incomincia la storia di Dago, di quando era schiavo in Africa; legge di quest’uomo, di come ha deciso di sopravvivere e di come, per la brutalità dei barbareschi ha deciso, di andare ad aiutare gli altri. Poi passiamo a Verdi; Verdi che pensa: “Guarda, duecento anni fa un italiano, schiavo, che voleva la libertà. Oggi anche io e tutta l’Italia, vogliamo la libertà. Ho un altro italiano, che cerca la stessa cosa che cerco io” e continua a leggere. Questo è il primo capitolo… e dopo si continua: la battaglia di Dago nel deserto, la battaglia di Verdi con Nabucco… e così via. E dopo Rigoletto, Aida, I Lombardi alla prima Crociata eccetera; tutto fino alla fine, quando Verdi è vecchio e va a morire; si tranquillizza, la porta si apre, Dago entra e il fumetto dice: “Amico mio ci vediamo, sono pronto. Ciao”. Verdi chiude gli occhi e a tutta pagina: “Va pensiero con l’ali dorate…” e tutto il coro di Nabucco. È iniziato là e va a finire là. La chiusura perfetta, almeno credo.
Robin Wood, oltre Dago lei è famoso per tanti personaggi…Gilgamesh, Nippur, Savarese, Amanda e altri. Come riesce a giostrare tra tutti questi personaggi?
«Novantadue per la precisione. Ora mi occupo di cinque personaggi, perché non posso avere di più; parliamo di venti episodi al mese. Io mi pianifico così: oggi faccio un Dago…ho i miei disegnatori di cui sono responsabile; non è che io sono là con gli angeli, io sono lì con i lavoratori. Loro lavorano, io lavoro. Allora, oggi lavoro per uno, domani per l’altro, domani per l’altro ancora, domani per l’altro ancora e il week end…combattimento con la mia signora che mi dice “Oggi no, finito. Oggi ti occupi di me, del cagnolino, eccetera”».
Se un giorno dovesse porre termine alle avventure di Dago come sarebbe l’epilogo? Il giannizzero nero troverà la pace solo nella morte o riuscirà a raggiungere un equilibrio in altre maniere?
«Non lo so, perché non l’ho scritto. Le ripeto, io non penso mai a quello che scrivo. Dago pensa, io no. Io incomincio a scrivere ma non penso mai alla fine, la fine è un’altra cosa. Arriverà un giorno, può essere che un giorno dirò: “Qui!”. Come è successo con altri personaggi, capirò che quello è il momento giusto. Una situazione giusta, qualcosa che lasci il lettore, che per me è la cosa più importante, che lasci il lettore commosso, felice, triste, tutto… pieno di cose in un solo colpo che ricorderà per anni. Alla mia maniera io faccio musica».
Robin Wood, un’ultima domanda: il futuro cosa le riserva?
«Il futuro sarà domani. Senta, la vita… ora vado a diventare, come si dice in spagnolo, “pomposo”, molto intelligente… la vita è il più grande presente che noi abbiamo ricevuto. Avere una vita, tutta una vita, per noi. Io vivo oggi… domani sarà un’altra cosa, un altro divertimento, un’altra gioia, un altro qualche cosa. Oggi sono felice, la maggior parte del tempo mi sento felice, credo che tu ormai l’abbia cominciato a capire; sono superficiale, in un certo senso, non mi prendo sul serio. Per me Robin Wood è un individuo con cui abito… non è male, è sopportabile, a volte un po’ pesante, certo, ma io devo vivere con lui. Allora è meglio vivere in amicizia, allora gli dico: “Robin Siediti, non essere pesante, tranquillo, parliamo.” La vita. La vita è domani, oggi, questo minuto un’ora di più. Semplice».
L’ultima domanda l’ho fatta a un Robin Wood che sapeva già di non stare bene e combatteva contro il male, ma non si arrendeva. E non perché la vita per lui era come uno dei fumetti che scriveva o perché si credeva immortale come qualcuno dei suoi personaggi. No, semplicemente perché amava la vita e non si arrendeva. Perché credeva nei sogni. Lui che sogni di carta li ha regalati a generazioni di lettori.
Era paraguayo, no argentino. Excelente nota, muchas gracias
Ho conosciuto Word (e Villagran)attraverso Lanciostory e i suoi testi mi hanno formato,educato. Anch’io come Wood ho fatto solo le elementari,ma mi sono formato come autodidatta leggendo libri e,soprattutto fumetti,appunto Lanciostory. Devo molto a Robin Wood:mi ha fatto ridere,piangere,riflettere su questa vita.lui, sceneggiando Mojado a scritto in parte se stesso,della sua vita,difendendosi nella strada che forma la vita stessa.uguale come ho fatto io.Io ho perso un occhio da bambino e ho sofferto tanto.mi rivedevo in molti personaggi da lui sceneggiati,dove la giustizia trionfava. (Ho tanto da dire alla mia età(68 anni) e vorrei scrivere un libro autobiografico,ma mi manca la sintassi e la punteggiatura.se trovassi un editore, qualcuno che mi aiutasse a scrivere per quello che ho da raccontare,(quasi come Mojado) ne verrebbe fuori qualcosa di interessante,qualcosa di veramente forte.non vorrei raccontare per far soldi,ma vorrei raccontare di ingiustizie e falsità velate,come oggi spesso accade,da giustizie e verità.) mi è dispiaciuto molto sapere della morte di questo grande uomo:lui diceva bene quando affermava che la vita è adesso,è oggi e nulla più.