Che tipo era il Patriarca Luciani? Sicuramente uno che aveva un grande rispetto e un interesse sincero per il lavoro degli altri. Che, si capisce, qualche volta hanno anche delle difficoltà impreviste. E la dimostrazione di tutto questo, la diede a Mestre in una sera di festa, con decine di tipografi in camice nero che lo applaudivano. Ma qui bisogna spendere qualche parola in più. Era il 1977, un anno prima della sua imprevista chiamata alla soglia di Pietro e della sua morte misteriosa.
Il Gazzettino aveva tagliato da poco le sue radici

Dalla centralissima calle delle Acque, all’inizio delle Mercerie veneziane, era finito nelle plaghe allora deserte di Via Torino in terraferma e Luciani era venuto a benedire lo stabilimento nuovo di zecca. Come tutti i veneti era molto legato al giornale, aveva perfino concesso che le sue omelie domenicali in San Marco vi fossero riprodotte il giorno dopo in prima pagina. Spiccavano sempre su due colonne al posto dell’editoriale ed erano ovviamente molto lette e commentate. Diciamo che, senza volerlo, era diventato uno dei giornalisti più seguiti della testata, ma questo certo non gli dispiaceva perché scrivere era da sempre una sua passione. E poi il mondo dei giornali lo incuriosiva.
Il Patriarca Luciani e la benedizione della nuova sede

Quella volta, con la sua solita tonaca nera che non ci fosse stata la Croce pastorale, somigliava tanto a quella di un modesto parroco di campagna, s’era presentato poco dopo le otto di sera. Ad accoglierlo c’era tutto lo stato maggiore dell’azienda in pompa magna: il consigliere delegato della società editrice, il direttore responsabile, il direttore amministrativo, prefetto, consulenti e tirapiedi illustri. Insieme formavano un bel gruppo sorridente, come capita ad ogni inaugurazione, anche se quella volta – per fortuna – non c’erano nastri da tagliare ma solo benedizioni da dare. Procedevano compatti, con lui che ogni due passi faceva domande, girava la testa e allungava la mano a chi faceva ala e gliela voleva baciare in segno di rispetto.
La curiosità del Patriarca Luciani

Era andata così dal suo arrivo e tutto era filato liscio come da programma. Almeno fino all’altezza del grande salone che raggruppava le redazioni di interni, esteri, cronache nazionali ed economia. Era un locale vasto, arioso e lontano qualche secolo dal vecchio piano nobile di Ca’ Faccanon a Venezia. Un invitante e modernissimo open-space all’americana, tutto moquette, vetrate, scrivanie nuove di zecca, spie antincendio piantate sul soffitto. Ed è proprio lì che il cardinale si fermò incuriosito. Chiese scusa al seguito, girò a destra ed entrò deciso.
Erano le nove di sera ed era giusto quella, l’ora più temuta da chi in un giornale ha lavorato nel secolo scorso

Le telescriventi vomitavano notizie da tutto il mondo, le linotypes in tipografia sfornavano colonne di piombo, i fattorini volavano tra i banconi con articoli, titoli, impressi sulle bozze umide di carta. E i giornalisti, sotto la supervisione di un sergente di ferro, il caporedattore centrale, erano impegnati ad alimentare quella bulimia produttiva, licenziando senza sosta le notizie dell’indomani. Una filiera frenetica, ma quella di tutti i giorni, di tutte le sere per chi c’era abituato.
Se non ci si accorge di niente mentre si lavora. Nemmeno di un Patriarca

Il Cardinale si fermò giusto davanti alla scrivania del capo degli Interni di allora, che non s’era accorto di niente, perché in quel grande salone moquettato gli dava le spalle e ogni rumore gli arrivava attutito. Dicono le cronache che sul suo tavolo regnava come sempre una gran confusione di fogli spiegazzati, che sulla destra formavano una morbida collinetta. A sinistra, invece, spiccavano quattro contenitori di plastica rossa con vistose etichette in stampatello: ATTUALITA’, SINDACALE, POLITICA, GOVERNO. Lui, in quel momento, teneva in mano perplesso l’articolo di un inviato più lungo del dovuto. E a quella apparizione insolita, preso in contropiede, aveva reagito sgranando gli occhi stupito. Ma senza alzarsi, senza salutare con la deferenza dovuta il Patriarca, come gli verrà più tardi rimproverato. Il resto, il breve colloquio che poi seguì e che riportiamo di seguito può apparire surreale. Però è tutto vero. Punteggiatura compresa.
Il colloquio con il Patriarca Luciani

“Avete sempre da fare così?” Dice comprensivo il porporato.
Tutte le sere, Eminenza, è l’ora più brutta.
“Allora disturbo. Ripasso dopo”.
Magari, se può, dopo le dieci. Scusi Eminenza.
E tutto finì lì, perché il Patriarca Luciani scivolò subito via e tornò al gruppo dei vip in trepida attesa

Lui, si sa, era per molti già in odore di santità, ma questo non c’entra. Per chi l’ha conosciuto bene era prima di tutto un uomo di intelligenza rara e – lo abbiamo già detto – aveva grande rispetto per il lavoro degli altri, compreso quello dei giornalisti. Con i quali, del resto, aveva molti punti in comune. La curiosità, naturalmente, ma anche altre importanti caratteristiche, compresa la capacità di scrivere in un italiano scorrevole e chiaro. E se, qualche volta, poteva venirgli fuori una frase con qualche subordinata di troppo, tutto era sempre compensato dalla partenza canonica, quella che si insegna nelle scuole di giornalismo: prima il soggetto, poi il predicato e solo dopo il complemento.
Il Patriarca Luciani e la passione per il giornalismo

Insomma, era un lavoro che gli piaceva e a cui si dedicava appena poteva, come provano le decine di articoli pubblicati durante la sua vita non solo sul Gazzettino e nei settimanali diocesani, ma anche su importanti riviste di grande divulgazione. Al contatto coi giornalisti era perciò abituato e aveva capito subito che, nell’atteggiamento di quel “collega” colto di sorpresa, non c’era stato niente di irriguardoso. Va da sé, comunque, che dopo non si fece più vivo. Forse, chissà, gli sarebbe anche piaciuto. Ma il protocollo, mettiamola così, non lo prevedeva.
Se essere temerari non paga

Chi non se la vide molto bene, invece, fu quel temerario caposervizio che nel vortice delle nove di sera e l‘assillo di quindici righe da tagliare, preso alla sprovvista, aveva perso una grande occasione. Certo non poteva immaginare di avere davanti un futuro Papa e per di più un Beato della Chiesa e in fondo non era stato né brusco né scortese, ma insomma “i visitatori importanti non si trattano così”. E con queste parole, se c’era mai stato, finì il feeling tra lui ed il direttore. Anzi, tra lui ed il giornale, perché pochi mesi dopo pensò bene di traslocare da un’altra parte.