È giusto che il governo per i prossimi cinque anni sia in mano alla destra, disciplinata, compatta, seria, seppure la visione del mondo per ognuno dei tre componenti sia diversa. Non hanno, però, la maggioranza di due terzi del parlamento necessaria a modificare la Costituzione, neppure con i voti di Calenda e Renzi. È, infatti, nelle intenzioni della destra trasformare l’Italia in una Repubblica presidenziale e affidare ai cittadini il compito di eleggere il Capo dello Stato, che non sarebbe più un personaggio di garanzia. Accumulerebbe troppo potere per essere al di sopra delle parti.
La destra e Draghi


Quelli del fronte progressista sono troppo stupidi per fare politica, soprattutto il PD. Gli elettori se ne sono accorti e non li hanno votati. Un paese senza la sinistra è un danno per la democrazia. L’era di Draghi era lo sciocco parametro di valutazione dei compagni di cordata. Buono era solo chi lo aveva sostenuto, cattivi tutti gli altri. Imitarono quelli che si castrarono per fare un dispetto alla moglie. È vero che quasi tutti avevamo apprezzato Draghi per le sue capacità di risollevare le sorti dell’economia in un momento di crisi e di Covid, ma non la sua spocchia. Perché difenderlo a spada tratta? Non era Mandela né il Che Guevara, ma un banchiere che considerava il proprio intervento un favore agli italiani. Infatti, diceva chiaramente di averne le tasche piene e non considerava un onore governare il proprio paese. In realtà, la fiducia ce l’aveva e poteva continuare a governare. Ma lui la pretendeva da tutti perché un diniego era offensivo per la sua arroganza. Mai più, rispose, infatti, indignato a chi gli chiese se fosse disposto a ripetere l’esperienza.
Ma, poi, perché l’Italia avrebbe dovuto ricorrere di nuovo a Draghi se la vittoria non poteva non essere della destra?

Sinistra & C, pur avendo avuto la maggioranza per gran parte della legislatura, non ebbero l’intelligenza di cambiare la legge elettorale né la saggezza di adeguarsi a quella esistente. Per colmo di idiozia – non si tratta di calcoli sbagliati, ma di inettitudine vera e propria – essendo la competizione bipolare, anziché presentarsi uniti, come la destra, si sono costituiti in diversi poli. Persino De Magistris volle correre da solo pur sapendo di danneggiare il PD, privandolo dei suoi pochi voti. Quando venne a Napoli Mélenchon, leader della sinistra francese – altro genio della politica – tenne a precisare che era lì solo per De Magistris non per il PD, che col suo misero 20% – poi, sceso addirittura al 19 – aveva rinunciato all’alleanza col M5S che si è qualificato come il partito più di sinistra del parlamento uscente.
Lo stesso errore di Veltroni

Nelle elezioni del 2008 la sinistra guidata da Veltroni aveva fatto lo stesso errore, ed era stata la sua Caporetto, che oggi Letta ha replicato. Degli errori, che servono per imparare, anche i più stupidi fanno tesoro, tranne il PD. Perché i presuntuosi non imparano e considerano offensivi i consigli che gli si danno, perché non ne hanno bisogno. Ecco perché tanti operai della Mirafiori, seppure iscritti alla CGIL, hanno votato per la destra. Né i presidenti dei gruppi parlamentari, né altre eminenze del partito sono intervenuti su Letta perché riconoscesse che Conte, dopo essere stato defenestrato da premier, seppure avesse negoziato per l’Italia 210 miliardi di contributi europei – il massimo che un paese poteva pretendere – era stato fedele sostenitore del governo di coalizione. Quindi, meritava l’alleanza col PD, anche se a sfiduciare Draghi, che non gli dava risposte, era stato lui.
La politica è fatta di accordi e compromessi

E l’indomani è un altro giorno. La rigidità di Letta è da insegnante isterico di un liceo nell’epoca napoleonica. Chissà se si nasconderà in casa prima di tornarsene a Parigi. Si spera che nessuno sprovveduto lo giustifichi e cerchi di trattenerlo, né oserà richiamarlo come è accaduto stoltamente quando Zingaretti – purtroppo non l’attore interprete di Montalbano, ma il fratello – si dimise da segretario. Ogni elezione ha la sua sorpresa e il trombato di lusso. Questa volta è toccato al povero Di Maio, che non tornerà certamente a vendere bibite allo stadio di Napoli, ma neppure in Parlamento. Eppure, lasciando il M5S aveva portato con sé 60 parlamentari, che però – a giudicare dai risultati elettorali – non avevano un seguito, neppure quello dei parenti più stretti. Da ministro degli Esteri, ruolo per il quale non aveva la cultura, né la competenza e neppure le capacità, e da capo politico del movimento si troverà a sopravvivere per un po’ di tempo con la congrua liquidazione che, come tutti gli ex deputati, riceverà dal parlamento. Meno male per lui che non l’abolirono come fecero col vitalizio. Di Maio era tra i tacchini che festeggiavano il giorno del Ringraziamento quando ridusse di un terzo i parlamentari. Ora dovrà inventarsi un’altra attività. Ma non sarà facile.
La politica è il rifugio di tutti coloro che non hanno arte né parte

E per di più è ben remunerata. Salvini, Calenda e Renzi ambivano a lavorare in TV, ma neppure lì ce li vollero. Gli rimase la prospettiva della politica. E adesso li subiamo noi come leader. La stessa Meloni non aveva studi adeguati a un’attività di livello. Però, sin da ragazza aveva scelto di fare politica. È stata la sua sola professione. Infatti, per tanti anni umile e saggia gregaria, sempre nello stesso partito – ormai una rarità – sebbene non abbia un grosso bagaglio culturale, che oggi non sembra più indispensabile, ha imparato a fare politica. Tanto da meritare oggi il primato della prima donna leader di un partito vittorioso e molto probabilmente prossima alla guida del governo se Mattarella la riterrà adeguata.
La coerenza della destra di FdI

A differenza di altri partiti, Fratelli d’Italia non aveva ospitato finora voltagabbana né, tanto meno, personaggi espulsi dal parlamento per indegnità e nemmeno corrotti. I soli processi che qualche membro ha subìto sono per apologia del fascismo e sciocchi saluti romani, frutto di una fede ancestrale, non solo di stupidità. Oggi, purtroppo, in vista del successo previsto, anche loro hanno dovuto imbarcare estranei essendo esigua la classe dirigente del partito. Non è stato difficile perché lo sport prediletto dagli italiani è il salto sul carro del vincitore. Quindi, ex democristiani, socialisti e chi sosteneva che con la cultura non si mangia diventeranno ministri. Altri occuperanno posti di prestigio nelle istituzioni.
Il partito dei voltagabbana per eccellenza è quello del cosiddetto terzo polo

Ospita anche i fuoriusciti di Forza Italia, che, però, non hanno portato con sé neppure il voto dei familiari. Calenda e Renzi nascono nel PD e dopo essere stati eletti – Calenda al Parlamento Europeo, Renzi al Senato – se ne sono andati per formare un loro partito. Calenda perché qualcuno gli ha dato i soldi per creare Azione, forse per intromettersi nell’equilibrio dei partiti, Renzi perché è nato con l’ambizione di comandare. È nato leader. Non ci si trova nel ruolo del gregario, però indispensabile per imparare a fare politica. Infatti, non ha imparato. Da portaborse di un parlamentare al quale non ha dimostrato gratitudine, è stato Presidente della Provincia, poi Sindaco di Firenze, infine Segretario del PD e Presidente del Consiglio. Certo, qualcuno ha dovuto aiutarlo nella repentina ascesa. Si dice che sia stato Verdini, che era di Forza Italia e che lui – come unico gesto di lealtà in vita sua – infatti andava a trovare in carcere. Forse per disobbligarsi, quando era alla guida del PD, mise due candidati in Liguria che si divisero i voti e fu eletto Governatore Toti, anziché uno di sinistra, come nella tradizione di quella regione. Sfiduciò, poi, il Sindaco di Roma del PD, Marino, anziché difenderlo dalle ridicole accuse dalla destra di avere parcheggiato la panda rossa della moglie nella zona a traffico limitato del centro storico.
Da sinistra a “quasi” Destra?

Ecco come si arrivò alla Raggi, il peggiore sindaco dalla fondazione di Roma da parte di Romolo. Infatti, a Renzi la destra è grata per avere portato in meno di una legislatura il PD dal 40% del 2014 al 18% del 2018. Quota che Letta si è guardato bene dal rimuovere. Bastava presentarsi uniti per vincere le elezioni. La destra, infatti, ottiene il maggior numero di seggi in parlamento – perché favorita nell’uninominale per la frantumazione degli avversari – ma voti ne ha presi molti di più il fronte progressista. Con grande intuito politico, Letta ha imbarcato Di Maio, che ha preso lo zero virgola qualcosa e non Conte col suo rinnovato M5S. Ospitando Fratoianni e Bonelli, diede a Calenda, che non è così stupido, il pretesto che cercava per dissociarsi dall’alleanza, essendo probabilmente il suo compito di disgregare la coalizione. Bastava che Letta si alleasse solo con Conte per cambiare la fisionomia del parlamento. Ma era reo dall’avere sfiduciato Draghi.
Letta ha consegnato le chiavi dell’Italia alla destra

Con la sua chiusura mentale Letta non ha condannato solo l’Italia al governo di destra, ma anche la Sicilia. Anziché sfruttare il malcontento creato da Musumeci, ha favorito l’elezione di Schifani. Meno male che Silvio c’è è uno slogan che da oggi dovranno adottare Ursula von del Leyen, Macron e gli altri leader europei che diffidano della destra sovranista ed euroscettica. Un tempo volevano tornare alla Lira. Poi si sono resi conto che sarebbe stato un disastro senza precedenti. Anche oggi, però, è forte la tentazione di disattendere, come Orban, le regole che impongono di informare l’Unione Europea del modo in cui vengono spesi i contributi che i paesi ricevono. La pacchia è finita, declamava la Meloni qualche giorno fa. Infatti, il suo sogno patriottico sarebbe di rinchiudere il paese entro le frontiere, ripristinare la leva militare e uscire dal mercato europeo. Ma intervenne prontamente Berlusconi per avvertire che Forza Italia si sarebbe ritirata da un governo che non fosse europeista.
Sarà rimosso anche Salvini, che è alla sua ennesima figuraccia?

Il grande successo di Fratelli d’Italia, infatti, è un travaso di voti dalla Lega. Ecco perché ora la Moratti si dice sfacciatamente pronta a sostituire Fontana in Lombardia alle prossime elezioni regionali. Forza Italia è in grado di sostenerla autorevolmente. È vero che da ministro dell’Istruzione nominò un creazionista al CNR, ma proviene da famiglia perbene e non approfitterà della carica per arricchirsi. Questa è una garanzia non da poco al giorno d’oggi. Di Salvini, però, la Lega non potrà privarsi perché non saprebbero con chi sostituirlo. Almeno è simpatico e diverte l’elettorato. Tanto, anche con la guida di un inetto, la coalizione ha vinto lo stesso e la Lega entrerà nel governo. Anche se la Meloni si dice atlantista e finora ha condannato l’aggressione dell’Ucraina, dato l’antico rapporto di Salvini e Berlusconi con Putin sarà inevitabile un minimo avvicinamento dell’Italia alla Russia. È molto probabile, quindi, che non dovremo più soffrire il freddo quest’inverno e diminuirà pure il costo delle bollette. Noi italiani, di destra o di sinistra, sappiamo sempre come, in un modo o nell’altro, risolvere i problemi.