Sabato 18 dicembre 2021. Giorgio De Bona, grande appassionato di sci alpinismo, esce in escursione sulle montagne della Conca dell’Alpago per una “pellata”. Sarà l’esperienza più difficile e incredibile della sua vita. Un lieto fine per niente scontato, che per il cognato Gianluca Dal Borgo, primo a intervenire e avvisare i soccorsi, ha “il sapore del miracolo”.
Dal Borgo, quel giorno si tenevano le elezioni del Consiglio e del Presidente della Provincia a Belluno, e come Sindaco di Chies d’Alpago stavi organizzando il pulmino per portare i consiglieri a votare. Invece, cosa è successo?
“Mia sorella Annalisa mi chiama alle 13.50 dicendomi che il marito Giorgio non è rientrato a casa. Di solito parte alle 7 e rincasa per le 11.30. Le dico di aspettare ancora qualche minuto. La richiamo ma Giorgio non è ancora rientrato. Mi sono mosso subito. Giorgio non aveva detto dove sarebbe andato e di solito si muoveva da solo. Con alcuni amici siamo andati a vedere dove potesse aver lasciato la macchina e dopo 20 minuti l’abbiamo trovata a Colindes che è in comune di Tambre. E da lì abbiamo chiamato il 118”.
De Bona, lei è uno sciatore fuori pista esperto che conosce molto bene la zona dell’Alpago. Cosa lo ha tradito questa volta?
“Si, della presenza delle forre ero consapevole, ma c’era una situazione di poca neve. Nelle volte precedenti le valanghe coprivano questo buco. Si vedeva un imbuto e si riusciva a stargli lontano. Questa volta non mi sono accorto e quando ho visto la roccia era già troppo tardi. Non ho potuto fare niente e sono precipitato, cadendo a testa in giù fino alla fine”.
Era cosciente di cosa le stava capitando?
“Ho visto tutto, ogni istante. E’ durata un’eternità per me. Prima ho visto le rocce, poi la neve dove ho sbattuto e perso gli sci. Mi aspettavo di fermarmi là, sulla neve. E invece continuavo, diventava sempre più buio e non mi fermavo. Finché non mi sono trovato a testa in giù incastrato tra le rocce e il ghiaccio. Non si vedeva nulla. Un incubo. Una cosa per me inaccettabile. Io non potevo essere là in quella situazione. E mi sono subito venuti in mente i miei figli che mi dicevano: dove sei andato? Da lì lo spunto, mi sono liberato, non so nemmeno come. Dimenandomi probabilmente, e gridando. Usi quelle grida per trovare la forza necessaria. Perché non potevo fare questo ai miei figli. È questo che mi ha permesso di risalire pian piano. La rabbia assoluta. Nessuna disperazione, nessuna paura. Ero proprio nero”.
Il tempo in questi casi gioca un ruolo fondamentale. Il sistema è intervenuto tempestivamente con il Soccorso Alpino, con l’elicottero del Suem, con le squadre dei Vigili del Fuoco e anche con delle squadre della Guardia di Finanza. “
Il soccorso è andato avanti fino all’una di notte, e Giorgio non si trovava. All’indomani le squadre hanno ripreso le ricerche alle 7 con le prime luci. E’ arrivato anche un elicottero della Guardia di Finanza con un sistema di rilevamento delle schede telefoniche, ma Giorgio non si trovava”, ricorda Dal Borgo.
De Bona, come ha affrontato la situazione?
“Ho visto due spiragli di luce e ho deciso, non so perché, di andare a sinistra. Risalito un pendio di ghiaccio e rocce scivolose, non so per quanto, mi sono reso conto che non avevo più le racchette e gli sci. Solo lo zaino, un gran male alla spalla sinistra e un sapore metallico in bocca. Però la testa era a posto e le gambe si muovevano. Ho ritrovato una racchetta, quindi ero effettivamente caduto da qui. Man mano che salivo aumentava la luminosità fino ad arrivare ad una parete liscia per metà roccia e per metà ghiaccio. Dovevo andare lassù, con un solo braccio funzionante, una sola racchetta, non avevo ramponi e piccozze. Quindi dovevo scavarmi delle fossette con gli scarponi, con la punta della racchetta. Non è stato semplice. I passi per scalare sono stati numerosi e sono scivolato diverse volte, dovendo ricominciare da capo. Ce l’ho messa tutta, sono arrivato su stremato. Con il dolore alla spalla era impossibile ragionare, ma alla fine sono riuscito a tirarmi su e a rivedere il cielo di nuovo. E mi sono detto: dai che ce l’hai fatta anche stavolta. È durata poco l’illusione, perché salendo ancora un po’ mi sono reso conto che ero circondato dall’inghiottitoio e completamente isolato da pareti altissime. Qualche tentativo di scalata, ma ho rinunciato subito. Potevo solo sperare negli aiuti che sarebbero partiti nel pomeriggio, perché a casa mi aspettavano. Dovevo fare da mangiare ai miei figli e alle 11 al massimo sarei rientrato. Invece no. Gli errori poi si sommano. Quel giorno non avevo scattato neanche una foto, né mandato un messaggio. Una dimenticanza è sufficiente per scomparire del tutto”.
Dal Borgo, si trattava di un’area molto vasta di ricerca? Uomini e mezzi erano adeguati?
“Avevamo capito che poteva essere nei pressi della Cima Lastè e Cimon del Cavallo. Nel suo computer il sabato precedente, 11 dicembre, Giorgio aveva inserito il Monte Cornor e il 15 dicembre aveva fatto invece Cima Monte Guslon e Cima delle Vacche. La Palantina l’avevamo esclusa, perché non c’erano le condizioni per salire. I soccorritori hanno ristretto quindi l’area di ricerca. Nel mentre, oltre ai due elicotteri della Guardia di Finanza e del Suem, era arrivato anche un elicottero privato in convenzione col sistema 118 per portare le squadre in quota a perlustrare la zona. Alle 11.25 fa un sorvolo a bassa quota: i soccorritori a bordo notano una scia scendere dalla Cima Lastè e interrompersi improvvisamente. Hanno girato sopra all’interruzione e sotto c’era Giorgio che sbracciava. Quindi abbiamo dato la notizia che Giorgio era vivo. Alle 12.10 dall’elicottero del Suem con il verricello è stato tratto fuori e trasportato all’Ospedale di Belluno”.
Giorgio, quando hai capito che i soccorsi si erano messi in moto?
“Finalmente ho sentito gli elicotteri e mi sono detto: dai che ce la facciamo. Avevo l’ARVA con me e riattivato il GPS sul cellulare. Ma la dolina è così isolata! Le onde non possono propagarsi e se non sono sulla verticale risulti invisibile. Gli elicotteri passavano e… mi hanno lasciato là. Mi ero reso conto che dovevo passare la notte e con serenità mi sono preparato. Mi sono sempre mosso, non mai chiuso occhio, sempre in piedi, anche perché non mi si piegavano le gambe. Ho visto l’alba, ho atteso e al primo passaggio dell’elicottero, che se ne è andato nuovamente, ho temuto di rimanere dentro. Invece più tardi ho visto un elicottero molto più basso degli altri. Addirittura si è messo di lato e sono riuscito ad incrociare lo sguardo sia del pilota che dell’equipaggio. Ed ero sereno, era finita. Soprattutto ero sereno per i miei figli e mia moglie. Quindi il volo con l’elicottero. Il telefono finalmente ha preso e sono partiti i messaggi d’addio che avevo scritto a mia moglie e ai miei figli. Avevo messo in preventivo anche di non farcela”.
Gianluca Dal Borgo è anche un infermiere del pronto soccorso, abilitato agli interventi dall’elicottero. Cosa può dire di questo intervento?
“E’ stato un successo per la grande mobilitazione, per le persone della Conca dell’Alpago che conoscono bene il territorio. E poi secondo me è stato anche un miracolo. Quello che abbiamo capito è che quando si entra in una dolina è difficile essere ritrovati. Anche perché la tecnologia che va dall’ARVA, ai cellulari, al GeoResQ non funziona. Sarà da capire in futuro per chi lavora nel campo del soccorso. Perché tutte quelle persone che non si sono trovate negli ultimi anni nelle nostre montagne probabilmente sono all’interno di una forra. La Conca dell’Alpago si è fatta ben conoscere grazie ai tanti eventi sportivi organizzati, dalla mountain bike alla corsa in montagna. E anche in inverno si organizzano campionati italiani, europei, mondiali di sci alpinismo. Pratica sicuramente affascinante quanto insidiosa. Ormai arriva tantissima gente, in questo territorio così genuino e naturale, a praticare questo sport. Nei prossimi mesi penso che tutti insieme, amministratori e volontari, dovremo lavorare su una cultura della sicurezza”.
In questo Giorgio è diventato un grande testimonial
“Credevo di avere una storia piccola, di paese. Invece tutti mi erano vicini. Per trovarmi si sono mosse un centinaio di persone. È una cosa grandiosa e non smetterò mai di ringraziarli. Anche quelli che mi hanno pensato e non hanno dormito per tutta la notte, come me. Ora sono tornato a casa e ho ritrovato la normalità. Non ho perso nulla e soprattutto i miei cari non hanno perso me. Naturalmente d’ora in poi la mia vita cambierà nell’approccio alla montagna. Bisogna dire sempre dove si va ed essere insieme a qualcuno. Eviterò certi giri. Non voglio neanche più trovarmi in certe situazioni. Consiglio anche alle altre persone. Abbiamo la tecnologia come i telefoni. Per esempio mi ero dimenticato il GPS, che in montagna è invece molto utile. Anche un minimo di dotazione: il casco è indispensabile, l’ARVA. E farsi consigliare prima sui luoghi dove andare”.