Un imprenditore veneziano, Alvise Bottoni, appassionato di laguna e di voga, decide di investire i suoi risparmi in beni immobiliari. Fin qui nulla di strano. La cosa che fa notizia, a Venezia, è che l’imprenditore decide di acquistare dal Demanio l’isola della Cura, in laguna nord, per la cifra non modica di 200 mila euro. Qualche ettaro di ruderi e di vegetazione tra i luoghi più belli e solitari della laguna nord a circa due chilometri da Burano. Quale il senso di questo investimento? Bottoni lo spiega con una semplicità spiazzante. “Amo la mia città, d’accordo con mia moglie e i miei figli, voglio fare qualcosa di valido per riportare la vita in laguna”. Chapeau. Fosse solo. Dietro le sue idee altri due “recuperi”. Tre isole abbandonate forse risorgeranno
La storia della prima delle tre isole
L’isola della Cura, abbandonata da oltre sessant’anni, era diventata dopo un passato illustre, una valle da pesca. Con attività economica, poi abbandonata, da parte dei pescatori di Burano. Due edifici, ormai semi distrutti e le vasche per l’itticultura, sono ancora testimonianza del passato recente. Una casa colonica con tanto di cavarzerana, il tipico caminetto esterno in paglia delle valli da pesca. Poi la “cavana” murata, ovvero ricovero di barche, e la riva d’accesso.
Cosa ha in mente l’imprenditore veneziano?
“Mi piacerebbe ricomporre gli edifici esistenti e se possibile grazie alla collaborazione dei buranelli, far tornare una attività economica ittica oggi abbandonata”.
La Cura era qualcosa di più. Faceva parte ai tempi di Altino, città romana che contava almeno 30 mila abitanti, dell’antico complesso di Costanziaco. Secondo i detti dei pescatori buranelli, le “motte” di San Sergio e Bacco, ovvero i resti delle chiese risalenti al VII secolo. Una laguna che non c’è più, se pensiamo che il “mega emporio” di Torcello, secondo le cronache tardo romane, contava migliaia di abitanti, prima di emigrare a Rivo Alto, ovvero Venezia.
Pochi sanno che la Cura ha una risorsa incredibile. Nascosta tra la vegetazione c’è una polla continua di acqua dolomitica. Ovvero minerale, dal leggero sapore sulfureo, volgarmente di uova marce, dai forti poteri diuretici e salutari. In pratica alla Cura si può vivere senza bisogno dell’acquedotto comunale.
Tanti auguri al nostro coraggioso imprenditore.
La seconda delle tre isole
La seconda novità riguarda l’isola abbandonata di San Giacomo in Paludo che si trova a metà strada tra Murano e Burano. L’ultima volta che ebbe notorietà fu per merito di Jerzy Grotovsky, il famoso uomo di teatro. Nel 1975, grazie alla Biennale di Luca Ronconi, pretese l’isola, allora del Demanio militare, per organizzare lo spettacolo Apocalypsis cum figuris.
Isola degli artisti
Una esperienza artistica mondiale sconvolgente che però non ebbe seguito. Dopo anni di abbandono e di uso precario (era stata data in concessione agli scouts veneziani) una fondazione culturale torinese della famiglia Re Rebaudengo, la Venice Gardens Foundation, ha deciso di restaurare integralmente lo storico ettaro e mezzo dell’isola. Obiettivo? Un centro culturale e per artisti, agevolato dal passaggio continuo dei mezzi pubblici tra Murano e Burano. Adele Re Rebaudengo, la progettista, dopo aver avuto il coraggio di restaurare i Giardini Reali a San Marco, ora pensa alla grande e i residenti veneziani superstiti dovrebbero inginocchiarsi a tale coraggio. “La mia vocazione – scrive – è di restituire agli abitanti di Venezia, luoghi d’incontro, di pensiero e contemplazione”.
L’iter per l’acquisizione dell’isola di San Giacomo in Paludo non è stato semplice
Nel 2019 la Cassa Depositi e Prestiti, titolare per la proprietà demaniale, ha avuto ragione dopo tre anni di attesa e la sentenza definitiva del Consiglio di Stato, per cedere l’isola ad un privato, ovvero la Fondazione torinese, per “finalità collettive e culturali”, abbastanza distanti dal temuto uso ricettivo e alberghiero. Anche i quasi due ettari di San Giacomo, sono ricchissimi di storia. Fu convento cistercense, per poi essere sede nel ‘500 di un centro di frati minori conventuali, ovvero francescani. Ci pensò Napoleone, con i suoi editti rivoluzionari, a trasformare l’isola in caserma agli inizi sell’800. Fino al 1961, anno del deplorevole abbandono.
La terza delle tre isole grazie alla Sardegna
La terza novità insulare riguarda S.Secondo. Per i pendolari giornalieri tra Mestre e Venezia é l’isoletta che appare prima di arrivare alla Stazione di Santa Lucia. Ex convento, anche questo pezzo di storia lagunare, abitato fin dal primo dopoguerra dalla famiglia Gambirasi. Come attività economica raccoglievano le frattaglie dal vicino macello comunale di San Giobbe, per produrre concimi per l’agricoltura.
In tutte le tre isole una storia da raccontare da Roma agli austriaci
San Secondo, nei secoli passati era l’isola dei domenicani. Passaggio obbligato per i mercanti che dalla terraferma volevano recarsi a Venezia. Una società sarda ha appena acquisito l’isola, con grandi progetti, per collegarla in qualche modo al ponte della Libertà. In questo periodo si stanno facendo in isola, dei rilievi archeologici per capire esattamente dove si trovavano gli edifici religiosi antichi, poi sostituiti in polveriera militare dagli austriaci.
Tre isole della laguna abbandonate, tre esempi di coraggio imprenditoriale.
Un segno che i tempi del nostro vivere frettoloso, sono cambiati?