Sono stati giorni molto difficili per l’Unione Europea e gli Stati membri spaccati in due fazioni i “frugali” (i Paesi del nord come l’Olanda, l’Austria e altri) e i mediterranei (come Italia, Spagna e altri) sul fondo del pacchetto di aiuti (Recovery and Resilience), denominato Next generation EU. È stata la stessa Commissione UE a mettere sul tavolo la bozza dell’accordo che ha avuto come obiettivo quello di venire in soccorso dell’intera area dell’Unione sul piano economico. Questo è il piano Marshall 2020 ma l’Italia deve rispettare le regole e chiudere sulle infrastrutture. Anche se sembra che finalmente l’Europa abbia ritrovato, davanti al dramma della pandemia, l’unità.
Il Next generation EU
Questo accordo, che contiene un ampio cesto di circa 750 miliardi, ha salvato l’Unione dal rischio di doversi disintegrare e messo a tacere i sovranisti. Quest’ultimi sperano che l’Unione si avvii al tramonto e si ritorni al sovranismo puro e assoluto. Chi ha evitato il fallimento del vertice, con grossi rischi per la stessa UE, è stata la Cancelliera Angela Merkel, la quale ha saputo tessere la tela con l’astuzia diplomatica per agglomerare le due fazioni contrastanti e raggiungere l’unanimità del progetto presentato qualche mese fa dalla Germania, con il supporto della Francia saldando così l’asse franco-tedesco.
Recovery Fund e Piano Marshall
La lungimiranza della Merkel di ricorrere al Recovery Fund porta alla mente al ben noto piano Marshall. Gli Stati Uniti, dopo il secondo conflitto mondiale, lo presentarono agli Stati europei (vincitori e vinti). A patto che si integrassero per ricostruire le proprie economie. Oggi, l’obbligo dei Paesi membri dell’UE, compresa l’Italia, è ristrutturare le economie nazionali che hanno subito un decadimento a seguito del Covid-19. Si può ritenere, in un certo senso, che questo accordo potrebbe essere definito quale Piano Marshall dell’Unione.
Next Generation. Di cosa si tratta?
Non mi resta che delineare alcuni punti di questo accordo. Gli Stati membri dell’Unione hanno affidato alla Commissione UE il compito di presentare, a ottobre, le linee-guida, ossia le proposte sul modo di essere celeri e rendere semplici le procedure per creare le condizioni su progetti di investimento nel settore delle infrastrutture. La Commissione punta in primis al nostro Paese che, come è ben noto, è lento a sviluppare il settore infrastrutturale. La situazione per l’Italia non è semplice: deve tenere in considerazione le proposte di Bruxelles, altrimenti rischierebbe di non poter ricevere quanto previsto nel contenuto del Recovery Plan, cioè a dire 209 miliardi quota del fondo. L’Italia deve necessariamente accelerare sulle riforme, se non vuole vedersi congelati il quantum che gli spetta dall’accordo.
I punti più importanti
Un punto su cui si è dibattuto è stato il diritto di veto – tanto osannato dall’Olanda, Paese fustigatore delle presunte cicale mediterranee – che avrebbe portato alla paralisi di questo accordo e alla non erogazione di danaro a uno Stato membro. Sostituito dal criterio del freno di emergenza e introdotto nell’accordo UE. Un ulteriore punto riguarda il funzionamento del Recovery fund che avviene nel momento in cui uno Stato membro abbia adottato ogni necessaria misura. Nel senso che l’autorizzazione all’esborso di questo fondo si attua quando lo Stato presenti un progetto credibile di riforme avviate. Di certo, non si deve credere che lo Stato membro UE riceva il prestito con molta facilità.
Next Generation e futuro
I prossimi passi saranno fatti dal parlamento UE che ha già approvato il Recovery fund e che ha ora il compito di approvare il bilancio dell’Unione del 2021-2027. Attenzione! Si è visto come il governo italiano e la sua maggioranza hanno esultato al raggiungimento dell’obiettivo su cui si erano prefissati, tuttavia non va dimenticato che il fondo è solo un prestito che verrà distribuito tra il 2021 e il 2023 e resterà in attivo sino al 2026. Il finanziamento prestato dovrà essere restituito a partire dal 2027. Se l’Italia vuole evitare un’ennesima figuraccia, farebbe bene ad avviare celermente le riforme strutturali.