Sta per entrare nel vivo nel Parlamento riunito in seduta comune la fase delle votazioni per l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica che succederà a Sergio Mattarella il cui mandato si sta concludendo. Mattarella era stato eletto al quarto scrutinio (605 voti) il 31 gennaio del 2015 e aveva prestato giuramento il 3 febbraio. Si tratta del dodicesimo Presidente, viene eletto da Camera e Senato insieme e dai grandi elettori indicati dalle Regioni. In tutto 1003 elettori: 630 deputati, 315 senatori, 58 delegati delle Regioni (tre per ogni Regione). In questi giorni i partiti sono freneticamente alla ricerca di una candidatura comune che possa portare a un’elezione fin dai primissimi scrutini. Come è noto, dopo il terzo scrutinio basta la maggioranza assoluta del 50% più uno. Nella storia repubblicana soltanto Francesco Cossiga e Carlo Azeglio Ciampi sono stati eletti alla prima votazione. Cossiga è anche il Presidente più giovane, 57 anni. Il più anziano è stato Sandro Pertini con 82 anni.
Un po’ di storia
Dal 1948, entrata in vigore della Costituzione, si sono succeduti al Quirinale: Luigi Einaudi (1948-1955), Giovanni Gronchi (1955-1962), Antonio Segni (1962-1964), Giuseppe Saragat (1964-1971), Giovanni Leone (1971- 1978), Sandro Pertini (1978-1085), Francesco Cossiga (1985-1992), Oscar Luigi Scalfaro (1992-1999), Carlo Azeglio Ciampi (1999-2006), Giorgio Napolitano (rieletto per un breve secondo mandato) in carica dal 2006 al 2015, Sergio Mattarella (2015-2022). Il mandato di Segni fu interrotto dalla malattia che lo costrinse alle dimissioni anticipate: durò in carica due anni. Orazio Carrubba ricorda per i lettori di www.enordest.it i “suoi presidenti della Repubblica”. Quelli incontrati per lavoro, quelli intervistati per la radio e la televisione. Il suo racconto incomincia con Carlo Azeglio Ciampi.
Il ricordo di Ciampi
Sembra impossibile, ma proprio ora che impazza il toto-Presidente, chi ci rappresenterà nei prossimi sette anni, dagli archivi del Quirinale emergono analogie insospettabili. E l’attenzione si ferma su un’altra elezione, quella di 23 anni fa, di un certo Carlo Azeglio Ciampi. Cosa aveva di particolare? Bè, anzitutto era stato prima Governatore della Banca d’Italia, poi presidente del Consiglio e infine della Repubblica, ma senza aver mai fatto parte del Parlamento. Una figura, che non può non richiamare quella di Mario Draghi, l’attuale Capo del Governo. Il quale poi, sulla sua (più che scontata) candidatura alla suprema carica, glissa e non risponde. Esattamente come faceva Ciampi. Segno che la Scuola della Banca d’Italia, da Einaudi in poi, più che alle chiacchiere ha badato sempre ai fatti. E allo stile, come emerge dai ricordi di un vecchio giornalista.
Il mio incontro con Ciampi
Venezia, chiostro della Fondazione Giorgio Cini, isola di San Giorgio Maggiore. Una troupe della Rai è ferma sotto il porticato, nei pressi dello scalone che porta al piano nobile. Deve raccogliere una battuta del presidente del Consiglio Carlo Azeglio Ciampi per il Tg1 della sera. Niente di particolarmente impegnativo : 40, massimo 50 secondi sulla situazione economica europea. Il premier è pronto, l’operatore ha tarato la telecamera, il tecnico della luce ha già acceso il flash e il giornalista con il microfono in mano sta per aprire bocca.
Tutto pronto con Ciampi ma…
Ma non fa in tempo, perché un signore elegante arrivato quasi di corsa blocca tutto urlando: “Fermi! Non risponda Presidente, prima le domande! Non risponda!” Ed è così agitato che si girano preoccupati in tanti, compresi gli addetti alla sicurezza, che adesso scrutano con sospetto il malcapitato giornalista della Rai. Il quale poi, ad esser sinceri, oltre a sentirsi vagamente in colpa (“cosa avrò mai combinato…”) era il più perplesso di tutti. Perché di domande da fare ne aveva una sola e l’aveva già anticipata a Ciampi. E proprio non riusciva a capire cosa avesse fatto: si stava comportando come decine di altre volte in occasioni simili.
L’unico a rimanere quasi indifferente, con un comprensivo sorriso a mezza bocca era rimasto l’ex Governatore. Che aveva allungato una mano, aveva stretto amichevolmente un braccio al suo collaboratore e l’aveva rassicurato: “Non si preoccupi, si chiama Carrubba, lo conosco da tempo, non è il tipo da fare scherzi. E poi non c’è da preoccuparsi, tanto Presidente della Repubblica non mi faranno mai”. E finì tutto lì.
L’eleganza di Ciampi
Solo che quel dialogo apparentemente surreale, tra un ministro della Repubblica ed il suo addetto stampa, obbligava ad alcune riflessioni. La prima è che il giornalista, che quella volta tentava di raccogliere una sua battuta, si chiamava sì Carrubba, ma Orazio e non somigliava affatto al collega Salvatore che tra le tante cose dirigeva il Sole 24 Ore. Per di più, era la prima volta che si trovava faccia a faccia con il Capo del Governo. Perciò delle due l’una o Ciampi si era confuso ( ed era veramente difficile visto che col direttore del nostro più importante giornale economico aveva scambi frequenti ), o se n’era uscito così per tranquillizzare il suo addetto stampa.
Ciampi e il Colle
Dopo aver conosciuto meglio Carlo Azeglio Ciampi, livornese puro sangue, Governatore della Banca d’Italia, Presidente del Consiglio, ministro del Tesoro, del Bilancio e della Programmazione economica, non ci sono dubbi: la seconda risposta è quella giusta. Uomo delle Istituzioni tutto d’un pezzo, detestava proclami, chiassate e qualsiasi atteggiamento sopra le righe, come aveva già dimostrato nella sua lunga carriera al servizio del Paese.
La sua cifra più nota ed apprezzata, secondo tutti gli opinionisti, era quella di proteggere sempre chi lavorava con lui. Anche quando, come quella mattina a Venezia, c’era chi si preoccupava per una parola in più. Di cui invece lui non si preoccupava proprio. Perché in tutta la sua vita quello che pensava l’aveva sempre detto. E figuriamoci se si turbava adesso per le voci di una sua possibile ascesa al Colle, visto che per quel posto era sempre stato scelto un parlamentare, mentre lui non lo era. Non poteva accadere.
E tanto per tagliare la testa al toro, sapeva poi benissimo che il modo più semplice per affossare una candidatura, anche di facciata, era quello di farne girare prima il nome. Magari con tanto anticipo.
Tutto giusto. Però quella volta , capita anche ai grandi uomini, si sbagliava
Perché in verità, qualche anno dopo, esattamente il 18 maggio del 1999 era stato smentito dai fatti e Presidente della Repubblica lo era invece diventato sul serio. Addirittura al primo scrutinio: con 707 voti su 1010. Niente male per un ex allievo della Normale di Pisa, primo Presidente del Consiglio e Capo dello Stato senza tessere: né quella di deputato né quella di senatore. Uno che senza tante chiacchiere, fra le tante altre cose, riuscirà in sette anni a far riscoprire agli italiani l’orgoglio del Tricolore e la bellezza dell’inno di Mameli.
Da cantare tutti insieme, senza distinzioni di appartenenza e senza vuota retorica. Esattamente come avrebbe voluto il suo autore, morto a Roma il 6 luglio del 1849 nell’ospizio di Trinità dei Pellegrini. Aveva 21 anni ed era stato ferito mentre combatteva per costruire una nazione che ancora non c’era. L’Italia, appunto.