Dice, ma come si entra in un giornale? Innanzitutto dalla porta d’ingresso. Ce ne sono di tutti i tipi: di legno spesso, di cristallo a doppia anta, di quelle coi sensori che si spalancano da sole. Dipende dalle città e dai soldi dell’editore. In ogni caso, in genere sono fatte per favorire l’ingresso di tutti e appena entrati c’è un lungo bancone dove fa buona guardia l’usciere di turno.
La mia prima entrata in un giornale

Per quanto mi riguarda, all’Alto Adige di Bolzano ce n’era uno pieno di raccolte di giornali, con un grande registro che il custode di turno stava compilando con cura. Era la prima volta che varcavo quella soglia e non mi aspettavo niente di speciale, ma nemmeno tutta quella indifferenza. Come fossi stato un moscerino da cacciar via al più presto, il portiere non aveva nemmeno alzato la testa al mio arrivo. S’era limitato ad un “Desidera?”, più annoiato che perentorio. Insomma del tipo di chi non dà confidenza e non ha tempo da perdere, soprattutto con un ragazzo di 19 anni com’ero allora.
Cercavo il padrone

Non credo di essere mai stato un candidato al Nobel dell’ingenuità, ma diciamo pure che allora di queste cose proprio non me ne intendevo. Perciò, senza nemmeno un buongiorno, avevo risposto tutto d’un fiato: vorrei parlare col padrone. Non m’ero accorto subito che in fondo al bancone c’era anche un altro signore che stava sfogliando delle vecchie edizioni. Era piccolo di statura, minuto, tutto ossa e soprattutto nervi, con un paio d’occhi che ti pesavano al primo sguardo. Dopo la mia sparata s’era bloccato e adesso mi guardava curioso. Ad occhio e croce poteva avere l’età di mio padre e sembrava divertito dalle mie parole. Al punto che sorridendo s’era fatto avanti, dandomi regolarmente del lei: “Guardi che questo è un giornale. Immagino che voglia parlare col direttore.” No, no, proprio col padrone. “E per quale motivo, di grazia?” Perché voglio fare il giornalista e il contratto me lo deve fare lui.
Volevo far parte di un giornale

Non conoscevo le regole, ma avevo le idee chiarissime, tanto che quel signore scuotendo la testa non mi aveva subito cacciato, ma solo bonariamente corretto: “Editore, qui il padrone si chiama editore. E sarei io. Dunque, vediamo un po’. Lei vuol essere assunto e ovviamente retribuito, ma scommetto che non ha mai scritto su un giornale. Che tipo di giornalista è? “Bè, scrivevo sul giornaletto del liceo. Mi hanno pubblicato una novella sull’Adige. Niente di che, ma ho anche vinto un premio della Provincia. Insomma, mi piace scrivere e il giornalista è uno che scrive tutti i giorni. Diventerà il mio mestiere”.
Uno strano colloquio per entrare in un giornale

Forse erano state quelle ultime parole, la testarda sicurezza che si portavano dietro, ma era diventato improvvisamente serio e, chiuso il raccoglitore che aveva davanti, mi aveva fatto cenno di seguirlo. Saliti di un piano eravamo entrati in un ufficio luminoso che dava direttamente sulle passeggiate di Bolzano dalla parte di ponte Druso. Sempre in silenzio s’era seduto dietro una scrivania strapiena di carte e con un sospiro aveva indicato una pila di fogli per terra, accatastati alla sua destra. “Ecco, aveva finalmente esordito, queste sono tutte domande di gente che vuol fare il giornalista, tutte persone a cui piace scrivere come a lei. Molti sono laureati, ci sono insegnanti, professionisti e lei, a guardarla, ha appena finito il liceo. Ma adesso mi risponda seriamente : se una cosa l’incuriosisce, lei che fa?” Cerco di capire meglio, avevo replicato tutto d’un fiato. “E se non si convince subito?” Vado avanti finché non trovo la spiegazione giusta, faccio domande, qualche volta posso diventare anche indisponente, ma finché non è tutto chiaro non riesco a fermarmi. E’ più forte di me.
Sono entrato così. Anche con un po’ di faccia tosta

E qui, con una sua manata sulla scrivania s’era concluso quello strano colloquio, fatto di una domanda ed una risposta Perché dopo, aveva premuto il tasto di un campanello e mi aveva affidato ad un signore molto più giovane di lui, dai capelli a spazzola, con un perentorio: “ Vuol fare il giornalista. Veda lei.” Per la cronaca si trattava di Piero Agostini, capocronista, futuro segretario della Federazione nazionale della stampa. Non lo sapevo ancora, ma ero stato appena assunto. Aspirante giornalista, specializzato al momento in incidenti stradali. Orario dalle 9 a non si sa; contratto, neanche a sognarlo; retribuzione, 5 lire a riga pubblicata; possibile degenza per una influenza, due giorni e non di più. A 19 anni, secondo quel terribile, geniale, primo editore – per la cronaca Servilio Cavazzani, fondatore dell’Alto Adige di Bolzano – si doveva guarire in fretta. E così, a scanso di equivoci, il terzo giorno mandava un fattorino a casa per controllare.
Ecco, potete crederci o no, ma io nel mio primo giornale ci sono entrato così e lì mi sono fatto le ossa. Adesso, però, se vi viene voglia di ridere, fatelo pure. Non mi offendo.