Per circa una decina d’anni, tra il 1919 e il 1929, nella regione di Tiszazug, in Ungheria, lungo le rive del fiume Tibisco, si verificò un’impressionante catena di omicidi per avvelenamento. Le vittime furono un centinaio e la responsabile principale venne identificata in una levatrice che viveva e lavorava nel paesino di Nagyrév, Szuzsanna Fazekas. Questa incredibile storia ha talmente appassionato Sabrina Zuccato, giornalista, videomaker, artista e scrittrice, da spingerla a una dettagliata ricerca delle fonti relative e a un viaggio sul luogo dove si svolsero i fatti, ricerca che ha condotto a un romanzo, ora pubblicato per i tipi di Marsilio, dal titolo La levatrice di Nagyrév.
In riva al fiume di Nagyrév

La narrazione, come nei libri gialli, prende avvio dal ritrovamento, sulla riva del fiume, del cadavere di un’anziana contadina, Julianna Antal, madre di quella che in paese viene chiamata “Anna la lurida”. A indagare sul fatto viene incaricato il capitano Zsigmund Danielovitz, che realmente all’epoca si occupò del caso e che presto scopre come la morte della donna non sia avvenuta per annegamento, ma piuttosto a causa dell’ingestione di un veleno, l’arsenico. Interrogando la gente del paese emerge subito che in passato ci siano state molte persone decedute in circostanze sospette e che negli anni erano state sporte molte denunce in merito. Denunce inizialmente inascoltate che ora vengono prese in considerazione e che porteranno all’arresto di una quarantina di donne.
Il romanzo racconta, avvolta in un’atmosfera cupa, gotica, la vita del villaggio e quella delle protagoniste: un mondo arcaico, contadino, dove le relazioni sono sostanzialmente segnate dalla violenza, in cui gli abusi e i maltrattamenti degli uomini verso le loro donne sono quotidiani e brutali, dove il rancore e l’odio covano sotto pelle e trovano sfogo soltanto nella vendetta, maturata a lungo e resa possibile dalla collaborazione di questa levatrice, che aiuta a mettere al mondo la vita, cura le persone con una profonda conoscenza delle erbe medicinali, ma libera dalle gravidanze indesiderate e dispensa anche la morte, erigendosi a giustiziera implacabile.
Una realtà in cui le donne decidono di ribellarsi ricorrendo al delitto, in un’escalation che sembra non potersi fermare anche per l’illusione dell’impunità, perché le istituzioni giudiziarie non danno alcun seguito alle numerose denunce, probabilmente per il pregiudizio verso questi contadini, ignoranti e spesso alcolizzati che non vengono sostanzialmente creduti, vittime del classismo, perché provenienti da una periferia degradata. Bisogna però ammettere che la vicenda, comunque, aveva davvero dell’incredibile.
Sono gli anni immediatamente successivi alla fine della Grande Guerra

Ulteriore miseria, dolore e privazioni si aggiungono a una comunità che vive da sempre tra gli stenti. E che ora deve misurarsi anche con gli incubi determinati da quanto i reduci hanno vissuto al fronte. Incubi che segnano anche il detective Danielovitz, un uomo indebolito dai tremendi ricordi della sua esperienza di soldato e dalla perdita di una mano in battaglia.
Sabrina Zuccato racconta con vivacità e dettagli molto realistici, nonostante molti aspetti della vicenda siano stati ovviamente romanzati, questa comunità tanto particolare. Anch’essa avvelenata da invidie, ricatti e malignità, e pur tuttavia fortemente unita da complicità e interessi insospettabili. Le donne del paese, che si trovano a dover sottostare a mariti, suoceri, fratelli maltrattanti, subendone la violenza, sono capaci anche di, per esempio, prendersi il piacere approfittando della presenza di soldati serbi prigionieri in un campo costruito vicino al cimitero. Oppure di ottenere il più rapidamente possibile la pensione di guerra spettante alle vedove. Sempre con l’aiuto della levatrice, un personaggio inquietante e allo stesso tempo carico di fascino magnetico. Una donna che incuteva al tempo stesso timore e rispetto.
Zuccato e Nagyrév

La scrittura di Sabrina Zuccato è fluida, passa dalla terza persona della narrazione alla prima persona, in brani scritti in corsivo. Dando voce alle protagoniste che si raccontano senza sconti, con sorprendente sincerità. La struttura è solida e procede per accumulo di eventi e di personaggi senza perdere di vista il plot e la soluzione finale. L’ambientazione è resa in modo efficace attraverso immagini forti che sanno restituire il contrasto tra una campagna ungherese dall’apparenza tranquilla e ciò che invece di terribile avviene sottotraccia. Così come anche le personalità ambivalenti di queste donne che prima subiscono e poi lucidamente agiscono a loro volta una violenza subdola e inappellabile. Con questo romanzo l’autrice ha fatto davvero dei passi da gigante rispetto alla sua prima prova narrativa, Apolide, uscita nel 2020.
Ricordiamo infine che da questa storia Sabrina Zuccato ha realizzato anche un documentario, Le streghe di Nagyrév. Con il quale ha vinto il Premio Goattin dell’Ordine dei Giornalisti del Veneto nel 2023.
L’autrice

Sabrina Zuccato (Padova, 1992) è giornalista pubblicista e si occupa prevalentemente di cultura, critica cinematografica e attualità. Con esperienza pluriennale presso set cinematografici, svolge inoltre l’attività di videomaker e reporter. Nel 2020 ha esordito nella narrativa con il romanzo di formazione Apolide per la casa editrice Montag.
Sabrina Zuccato, La levatrice di Nagyrév, Venezia, Marsilio, 2025.
Grazie di cuore per tutta l’attenzione e l’approfondita analisi, che mi onora!
Sabrina
Hai fatto un ottimo lavoro, brava!