È il 1952, una bambina di cinque anni arriva a Santa Brigida, un paesino immaginario sulla pedemontana veneta, attraversato da Rujo, un torrente che poco fuori dal centro abitato diventa un fiume navigabile. La bambina non sa il suo nome né il suo cognome e viene accolta nell’osteria “Ai tre venti”. La proprietaria, Nina Bonfort, le darà una casa e anche un nome: Angelina Bonfort. La vita del paese scorre apparentemente senza grandi eventi, monotona e scialba; una folla di personaggi si incontra e ruota attorno all’osteria, muovendosi tuttavia in un’atmosfera cupa e inquieta che ricorda per certi versi quella di Il buio fuori di Cormac McCarthy.
Tutto ambientato Ai tre venti

Annarosa Tonin nel suo libro Ho scritto il mio nome, uscito quest’anno da Ronzani Editore, ripresenta questa storia ai suoi lettori dopo averla pubblicata nel 2020 per i tipi di Digressioni editore col titolo Anatolia (la bella recensione di Francesca Brandes qui: https://www.enordest.it/2021/01/10/tornare-a-santa-brigida-e-lanatolia-come-memoria/), ora arricchita da un paratesto in cui narra la genesi del romanzo, le fasi di scrittura e le ragioni che l’hanno motivato.
Tutto si svolge con unità di luogo, tempo e azione il 15 marzo 1987, in capitoli che alternano le voci di due donne, la stessa Angelina e Sofia De Lorenzi con inserti ambientati durante la festa per i quarant’anni di Emma De Lorenzi, organizzata proprio “Ai tre venti”.
Il passato si infiltra e deflagra pian piano evocato dapprima con molte reticenze e poi svelato nelle sue terribili verità. Perché sembra che a Santa Brigida non accada mai nulla, mentre in quella che prende avvio come una favola, lentamente esplode il noir: prendono corpo immagini raccapriccianti: iI giardino del convento nasconde i resti di bambini sepolti vivi dalle monache e qualcosa di terribile è avvenuto in paese molti anni prima, nel 1946.
Un segreto dietro Ai Tre Venti
Questa comunità dove tutti si conoscono da sempre si rivela un nido di vipere e la trama si avvelena di odio e vendette come in una piece di Tennesse Williams, con famiglie tossiche, relazioni violente, bambini venduti, omicidi, segreti e trame oscure.
La scrittura di Annarosa Tonin, molto sorvegliata e congeniale all’aura gotica che aleggia tra le righe, si avvale di un ritmo sincopato adeguato alla costante inquietudine che vuole suscitare nel lettore. Un’inquietudine che si mantiene senza cedimenti dalla prima all’ultima pagina.
L’autrice

Annarosa Tonin, è nata a Vittorio Veneto, dove vive, nel 1969. Diplomata al Liceo Classico “Marcantonio Flaminio” di Vittorio Veneto, si è laureata in Lettere Moderne all’Università Ca’ Foscari di Venezia con una tesi di Storiografia dal titolo Per una storia della corte praghese di Rodolfo II. Gli inviati veneti (1595-1609). È stata docente di Materie Letterarie e Storia dell’Arte nelle scuole medie e superiori. Ha svolto attività giornalistica.
Cura eventi culturali legati alla promozione della lettura per librerie e enti pubblici, conduce attività di ricerca archivistica storica e storiografica, scrive recensioni per riviste, coordina contributi di autori vari per pubblicazioni saggistiche. Autrice di racconti, romanzi e saggi scientifici e divulgativi, ha pubblicato: le raccolte di racconti Vento d’autunno (2011), terza classificata al Premio Kafka Italia 2012, Tele di ragno (2016), Le visitatrici (2018); i romanzi Rivelazione (2014), La scala a chiocciola (2015) e Il segreto di Alvise (2017); la raccolta di saggi divulgativi L’uomo nell’ombra. Storie d’arte, potere e società (2019). Dal 2005 numerosi racconti sono stati pubblicati in antologia con altri autori.
Vi ringrazio di cuore per aver pubblicato l’accurata, puntuale e accattivante recensione del mio romanzo, a firma di Annalisa Bruni. Il rinvio alla lettura della recensione da voi pubblicata alla precedente edizione, a firma di Francesca Brandes, offre, inoltre, l’opportunità ai lettori di trovare diverse chiavi di lettura alla storia raccontata. Grazie ancora e buon lavoro.
🙂