Se usciamo dalla cronaca, la storia corrente e la geografia ci offrono scenari in cui il tempo si dilata e travolge per così dire gli argini. Prendiamo la geografia biblica oggi ancora sanguinosamente contesa e ci ritroviamo in una terra mitica, fiabesca e tragica, che ha ispirato le grandi narrazioni dei popoli abramitici che l’hanno vissuta e ne troviamo la memoria nella Bibbia, nel Corano, e nella Torah.
Ma non ci sono soltanto i libri sacri. In questi giorni di grandi prove dolorose, mi permetto di suggerire la lettura della straordinaria tetralogia biblica dello scrittore tedesco Thomas Mann (1875-1955) dedicata alla Palestina di Giuseppe e i suoi fratelli (Mondadori).
Questa vasta opera narrativa, scritta in esilio in America negli anni della Seconda guerra mondiale, si apre sulla “voragine del tempo”, sul pozzo dei millenni dove incontriamo la terra palestinese o “paese di Canaan”, com’era tremila anni fa, al tempo di Giacobbe patriarca: un’epoca infinitamente remota da noi come il pianeta Marte; eppure resa viva dalla grande letteratura.
Abramo

In quel tempo, un uomo, “nel cui sangue si preparavano oscuramente futuri destini”, cioè Abramo il migrante da Ur dei Caldei, aveva cercato di incontrare il suo Dio “la cui idea e rappresentazione egli andava elaborando nel suo spirito”, circondato da un pantheon di idoli senz’anima. Quest’uomo santo, presente nelle fibre di tre religioni, è figura esplorata e ri-creata da Thomas Mann con grande fervore, rievocandone “lo stato di scontentezza e travaglio” che lo spingeva ad un andare vagabondo “come la luna “, “come lei peregrinando” perché “non è bene star fermi quando l’anima è agitata dal dubbio”.
In quel tempo – mentre trascorrevano le generazioni e si stratificavano – “lungo la grande strada litoranea che da Gaza saliva fino ai valichi della montagna dei Cedri, carovane reali andavano e venivano fra le corti del paese dei fiumi e quello di Faraone” unendo il sud al nord mentre attraversavano i territori delle tribù che, in un remoto domani, sarebbero diventate popolo.
In quel tempo, quando Israele era soltanto il nome di un uomo e Urusalim non era ancora città universale, si potevano incontrare “sui pascoli di Hebron” il giovane Giuseppe e i suoi fratelli che custodivano le greggi di Giacobbe.
Ahimè, il tempo favoloso dei patriarchi nella terra marezzata “di terebinti e lecci sempreverdi” si squaglia nel tumulto disumanizzato di questi giorni, nel nostro presente, e tuttavia dopo la lettura del capolavoro manniano, osiamo pensare, cioè sperare che una Terrasanta liberata dalle corazze insanguinate che oggi la rivestono e soffocano, si proietti nuda e in pace verso un’altra profondità, quella del tempo futuro.
Una eredità …. condivisa

Qualche tempo fa, il sindaco di un paese veneto, parlando dei problemi che gli amministratori devono affrontare, ha citato la voce di bilancio riguardante la popolazione anziana del suo Comune e ha detto qualcosa che forse non era scritta nella delibera. Poche parole, ma sincere: noi dobbiamo preoccuparci dei nostri anziani per quello che ci hanno lasciato di buono e di bello.
Non parla, qui, dei viventi ai quali sono dedicate le cure, ma della riconoscenza per le generazioni passate, sulle cui opere le generazioni future, – come siamo anche noi oggi – innestano le loro. Quel sindaco, insomma, lasciati da parte i termini burocratici, pur importanti nel suo caso, ha voluto rendere omaggio a quello speciale humus di umanità che sono i nostri anziani, alla loro eredità cioè al patrimonio individuale e pubblico che nel tempo arricchisce e feconda la società.
Nel suo piccolo, la delibera pro-anziani, considera i disagi dell’età, le solitudini, spesso l’indigenza, ne rivela la diffusione e l’urgenza, ma nello stesso tempo ci parla di solidarietà istituzionale destinata a sanare le piccole e grandi ferite che la vita provoca nella nostra fragilità.
Catturati da una scenografia

In vista della chiusura programmata per il 26 novembre, sono tornato al Museo M9 di Mestre per visitare una seconda volta la grande mostra di pittura dedicata a Emilio Vedova. In particolare, a livello inconscio magari, volevo fare una verifica delle emozioni provate il giorno dell’inaugurazione. Le grandi tavole tenebrose sparse/disperse in una sala immensa catturano il visitatore per la scenografica disposizione dei dipinti, e per la facilità con cui si passa in mezzo a loro (alcuni sembrano volare, appesi al soffitto). È come fossimo in visita allo studio dell’artista, coinvolti in una atmosfera elettrica di fervore creativo.
Parliamo di una pittura dinamica, gestuale, tumultuosa e civile – vorrei dire goyesca – che non nasceva su un cavalletto, che non poteva sopportare le classiche cornici dei quadri e aveva un connotato “politico”, di strumento polemico che l’artista veneziano usava \sollecitato dalle grandi tragedie del suo e nostro tempo. Proprio quest’allure ideologica delle opere, viste e riviste oggi, superata la barriera dei decenni dalla loro creazione, sembra sbiadire mentre si afferma travolgente e magica la pittura, anzi la Pittura.
Paesaggi sepolti

(poesia)
a G. Peretto
Dunque è così, calchiamo
paesaggi sepolti
come dire
cose morte, o dormienti.
Sotto il suolo quotidiano
i piedi calcano
le tracce
di alvei fossili, di selve,
di oscuri tumuli visibili
all’infrarosso.
Fiumane
di fanghi pietrificati,
e vallate metamorfiche:
furono paesaggi vivi,
e sostengono
da morti
i passi di questo presente.
Anonimo veneto 2023
È proprio come il capolavoro di Banksy che Nadia mi ha mandato poco fa ! Quella bambina che cerca di rianimare una colomba morente riporta alla mente i millenni di drammi umani ,narrati nelle religioni monoteiste . Come sempre , ringrazio Ivo che ci fa pensare e riflettere . GRAZIE .
Sono sconvolta ogni volta, dopo la lettura, della profondita e del ricordare dei ” pensieri” di Ivo. Stavolta parla di Thomas Mann, che ai tempi del liceo era il mio scrittore preferito; avevo addirittura scritto la mia tesina sul confronto di Mann e il britannico John Galsworthy e sul loro ruolo nel confronto della vita delle “saghe familiari” dell’ottocento europeo! Purtroppo non trovo più il quaderno con i miei di pensieri e valutazioni così “sofferte” – lo devo aver prestato ad una compagna di classe che non me l’ha mai restituito.
L’opera di Mann alla quale si riferisce Ivo, non la conosco, purtroppo. E devo amettere che non so se ad oggi saprei ancora apprezzarla come allora, che la mente era fresca e disponibile a cogliere una scrittura così impegnativa …
Leggendo poi sulla mostra del pittore veneto Emilio Vedova, mostra che ignoravo e che non ho vista, mi viene il mente un suo contemporaneo scultore e apprezzato artista Gino Cortelazzo di Este, un carissimo amico di mio marito e mio. Era una persona anche lui di cultura profonda, di una trasparenza commovente e sconvolgente che, potrei immaginare, sarebbe piaciuta anche a Voi, Ivo e Nadia. Vi racconterò! Di lui oggi gli studenti di storia dell’arte leggono nei testi scolastici.
È proprio come il capolavoro di Banksy che Nadia mi ha mandato okpoco fa ! Quella bambina che cerca di rianimare una colomba morente riporta alla mente i millenni di drammi umani ,narrati nelle religioni monoteiste . Come sempre , ringrazio Ivo che ci fa pensare e riflettere . GRAZIE .
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