“Elogio dell’incertezza” è questo il tema scelto per la quinta edizione del Festival delle Idee grande appuntamento ricco di incontri che abbraccia tutto il territorio di Venezia e Mestre. I protagonisti invitati a confrontarsi su un tema da analizzare con ottiche diverse e in ogni settore della vita culturale: letteratura, giornalismo, musica, imprenditoria, scienza, sport, social media. Durante la nostra navigazione al Festival delle Idee, oltre 30 eventi nei luoghi più iconici di Venezia e Mestre sino al 27 ottobre, abbiamo incontrato una voce autorevole, la poetessa Sonia Gentili. Docente universitaria, saggista, autrice per ragazzi, fondatrice con Ambrogio Palmisano del collettivo di poesia visiva: “L’uomo che non guarda”. Attenta interprete delle dinamiche sociali grazie anche alla collaborazione per la carta stampata come il quotidiano il Manifesto.
Il titolo quest’anno mette a fuoco l’incertezza liberandola dalla sua accezione negativa e trasformandola in una forza rigeneratrice capace di suggerire nuove prospettive. L’ispirazione nasce dalle parole del filosofo francese Edgar Morin: “La vita è una navigazione in un oceano di incertezze attraverso isole di certezze. Anche se celata o rimossa, l’incertezza accompagna la grande avventura dell’umanità, ogni storia nazionale, ogni vita individuale”.
Sonia Gentili, il tema di questa edizione è molto affascinante, forse indispensabile. L’arte è il mezzo migliore per evocare l’importanza e la bellezza del dubbio in tutti i campi e la poesia da sempre rappresenta il nucleo essenziale di questo messaggio.
La poesia è massima realizzazione del “polisenso”: da un lato libera di tutte le potenzialità di significato – anche quelle tra loro contraddittorie – di immagini e parole, e dall’altro revoca in dubbio ogni gerarchia tra gli elementi della realtà: il tavolo, la sedia, il piccolo, il grande non sono più posti in una relazione di subalternità (la sedia più bassa del tavolo, il piccolo minore del grande) ma sono colti in una chiave “assoluta”: sciolta da ogni nesso gerarchico. In quanto spazio liberato dalle gerarchie della necessità (spazio e tempo, prima e poi, maggiore e minore) la poesia è una messa in dubbio radicale della tenuta delle “regole” usuali, comprese quelle del linguaggio.
Con questo non voglio dire, naturalmente, che la poesia è caos e caso (per revocare in dubbio le regole del linguaggio bisogna dominarle pienamente; per creare una molteplicità che non sia pura oscurità bisogna pensare in modo rigoroso), ma che la poesia è nella dialettica tra ordine e revocazione in dubbio di ogni ordine. Il senso del mio libro “Viaggio mentre morivo” e della poesia che gli dà il titolo sta proprio nella “morte” del linguaggio convenzionale, delle sue regole e delle sue certezze, che è la condizione necessaria alla poesia.
L’incertezza, liberata dalla sua accezione negativa, è intesa come simbolo di cambiamento e ricerca nel desiderio di trovare nuove soluzioni. Nella sua poetica come viene trattato questo tema?
Credo che la poesia, per essere veramente tale, debba rappresentare la realtà nella propria contraddittorietà, insomma mostrare il problema più che la soluzione. Questa rappresentazione “aperta” resta tale anche quando una soluzione, una tesi viene presentata, poiché la poesia è anzitutto, un po’ come un certo pensiero religioso, un linguaggio del limite, di quello che si intravede oltre la soluzione adottata.Per tornare all’esempio del mio titolo: “Viaggio mentre morivo” evoca una morte (del linguaggio convenzionale, della frontiera convenzionale tra soggetto e oggetto, ecc.) che è però allo stesso tempo esistenza, vita, espressione. La contraddizione tra questa vita e questa morte compresenti non chiede soluzioni, ma solo di essere guardata, intuita: non necessariamente capita e spiegata.
Decisamente affascinante l’appuntamento all’M9 di Mestre col suo ultimo libro (Aragno editore, 2020) che è anche un manifesto di poetica: I quattro gesti della creazione. Venire alla luce e tornare nel buio attraverso quattro momenti che danno il titolo alle quattro sezioni del libro (Nascita, Nome, Tempo, Buio,) momenti universali che rifiutano il mito della creazione divina
Solo la madre perdona il suo
bambino che vuole
annegare nelle rapide
del sonno
sognare la certezza
del ritorno
e dormire
e sopravvivere
anche stanotte
al buio
I quattro gesti della creazione che danno il titolo al mio libro sono quelli con cui un mondo, un’opera d’arte, un essere vivente vengono alla luce, vivono e poi tornano a dissolversi nel buio.
Le quattro sezioni del libro – Nascita, Nome, Tempo, Buio – rifiutano il mito della creazione divina – il gesto fuori dal tempo, imperturbabile – e abbracciano la realtà della generazione umana il cui gesto – dare alla luce – è immerso nel tempo, nel dolore, nel cerchio della vita e della morte.
La poesia è “gesto” in quanto forma dell’istante esperienziale, del tempo umano. Non c’è tempo del dubbio più radicale del tempo umano nudo, privo di prospettive e speranze metafisiche: questo tema e la poesia che ne deriva è il mio contributo all’argomento a cui è dedicato il Festival quest’anno.
La poesia che va oltre la poesia: lei ha scritto anche una versione per la scena che fonde parola poetica e gesto corporeo, concepita in collaborazione con la danzatrice – performer israeliana Yael Karavan e col regista italiano Benedetto Sicca. Alcune poesie sono diventate videoinstallazioni come Cosmogonia che possiamo vedere fino al prossimo gennaio al Museo Carlo Bilotti di Roma esposizione a due voci realizzata insieme all’artista Daniela Monaci e al Collettivo L’uomo che non guarda, di cui lei fa parte.
Più che oltre la poesia, si tratta di andare oltre l’idea libresca e statica di poesia.
La poesia è movimento che approda alla forma per chi la crea come per chi, leggendola, la crea nuovamente, richiamando le parole alla vita e al movimento. Per esplorare ed esprimere questo fenomeno nel 2021 è nato L’uomo che non guarda (www.luomochenonguarda.com), un collettivo artistico composto da me e dal videomaker Ambrogio Palmisano. Nei nostri libri – installazione, esposti accanto alle opere di Daniela Monaci al museo Bilotti lo scorso anno nella mostra Cosmogonia curata da Lorenzo Canova, il testo affiora progressivamente e non linearmente sulla pagina digitale ponendo il lettore -spettatore davanti alla formazione della poesia: in egli vede la sua mente leggere, la poesia nascere, l’indecifrabile farsi segno.
Come ho detto, poiché è forma dell’istante esperienziale la poesia è gesto, cioè danza: il progetto teatrale che ho sviluppato con Benedetto Sicca e Yael Karavan è un dialogo tra Madre e Creatura, una danza di voci e corpi, in cui prendono vita le quattro fasi del ciclo vitale contenuti nelle poesie dei Quattro gesti della creazione.
Sonia Gentili, fluire quasi onirico dei suoi versi misterioso e ipnotico, come l’universo simbolista di Arthur Rimbaud, fonte di ispirazione. Cos’è per lei la poesia?
È il mistero del gesto che vive e già non è più, della dialettica che oppone il soggetto al suo limite, il divenire alla morte, il flusso alla forma. Anche in questo senso la poesia ha a che vedere con la danza: paragonandole, Paul Valéry scrisse che il danzatore «gioca a trovare il limite estremo» poiché «entra in una sorta di vita allo stesso tempo stranamente instabile e stranamente regolata». I due poli dialettici dell’instabilità e della rigidità sono quelli che la danza condivide con la poesia: esperienza che si dissolve e forma che cerca di trattenerla liberandola dalle maglie (prima e dopo, tempo e spazio) della realtà.
Sonia Gentili, le sue pubblicazioni hanno sempre avuto l’apprezzamento del pubblico e della critica con numerosi premi, ricordiamo la raccolta poetica “Viaggio mentre morivo”, il romanzo “I filosofi” e la raccolta “I quattro gesti della creazione” del 2020. Ci sono nuovi progetti ai quali sta lavorando?
A un nuovo libro di poesia che si intitolerà “Un giorno di guerra”: quello delle innumerevoli guerre per l’esistenza che ci circondano e anche il nostro giorno individuale. Ognuno di noi deve continuamente scegliere se continuare a esistere, a stare nella lotta terribile per continuare a esserci, o cedere invece, decidere di dissolversi, di lasciarsi andare al buio.
È una scelta continua e irriducibile a letture moralistiche.
In entrambe le alternative, in entrambe le prospettive del continuare ad esserci o del non esserci più si deposita tutta la ricchezza della realtà.
Prima ancora che diventino volume queste poesie saranno trasformate in installazione da me e Ambrogio Palmisano (cioè dal collettivo L’uomo che non guarda) e saranno protagoniste di una mostra che si svolgerà nel maggio 2024 presso il Museo di Arte Contemporanea Nuova Era di Bari.
Dott.ssa Elisabetta, complimenti per questa intervista, complessa, raffinata, arguta, dove la parola deve essere ben gestita e misurata nel suo significato, magari anche con neologismi. Intanto mi sono detto che bello questo titolo della manifestazione: Festival delle Idee. Non credo che ci possa essere una attività più libera e creativa di quella di pensare e di avere idee. Successivamente, a rinforzo di questa libertà, ecco l’elogio dell’Incertezza, cioè del fatto possibile, ma anche diverso da quello che suggerirebbe la logica e le rigide regole della necessità. Mi è piaciuta la definizione data dal filosofo Edgar Morin, che, quando lavoravo, lo citavo spesso anche per il noto concetto intorno alla testa ben fatta, rispetto a quella piena di date e nozioni acquisite passivamente. Io non ho mai letto testi della poetessa Sonia Gentili, tranne quello riportato sopra sul rapporto tra madre e figlio, però concordo sul valore della poesia, in modo particolare sull’importanza della parola scritta, capace di creare significati nuovi e complessi, sicuramente incerti, ma meritevoli di essere detti. Il testo – I quattro gesti della creazione – che danno il titolo al libro, sembrerebbero contrastare l’incertezza, segnando un percorso ben definito, ma forse il buio non è per tutti gli esseri viventi o per tutte le cose create. Interessante la fusione tra la parola detta e il movimento, la stessa cosa accade con la musica e il movimento, ma anche in altre arti. Comunque la parola, nel testo poetico, ha un significato straordinario, magico, creativo, dove l’ermeneutica aiuta a dare contenuto a quello che ha scritto l’autore.