In libreria o in biblioteca spesso si fanno delle scoperte che ci aprono un mondo. A Charles Bukowsky capitò di ritrovarsi in mano un romanzo curiosando tra gli scaffali della biblioteca pubblica di Los Angeles e ne rimase folgorato. «[…] niente di quello che leggevo aveva alcun rapporto con me, con le strade o con la gente che le percorreva. […] Poi, un giorno, ne presi uno e capii subito di essere arrivato in porto. Rimasi fermo per un attimo a leggere, poi mi portai il libro al tavolo con l’aria di uno che ha trovato l’oro nell’immondezzaio cittadino. Le parole scorrevano con facilità, in un flusso ininterrotto». Molti anni dopo la stessa cosa accade a Emanuele Pettener, alla Feltrinelli di Mestre. Sceglie a caso un libro dalla copertina bordeaux, di un autore che non conosce. Legge l’incipit e non riesce più a smettere. Un condensato travolgente di giovinezza, forza, umorismo, vitalità, calore e disperazione. Una scrittura che palpita a ogni pagina.
Pettener e il rapporto con John Fante

Si tratta dello stesso romanzo: Chiedi alla polvere, di John Fante (Denver, 8 aprile 1909 – Los Angeles, 8 maggio 1983). Per quel giovane mestrino, che diventerà professore di italiano in Florida qualche tempo dopo, è l’inizio di un’avventura che lo porterà prima a leggere tutto di quell’autore italo-americano, poi a studiarlo e a sceglierlo per la sua tesi di dottorato negli USA. Passione che si concretizzerà in un lungo e appassionato saggio, Nel nome del padre, del figlio e dell’umorismo. I romanzi di John Fante, che uscì nel 2010 per i tipi di Franco Cesati Editore (collana Americana, diretta da Anthony Julian Tamburri) e ora è stato ripubblicato da Oligo Editore (Verona) in una nuova edizione aggiornata e corretta.
L’analisi di Pettener

In questo volume Pettener analizza la narrativa di John Fante (su di lui: https://www.johnfante.org/biografia/) uno scrittore che ha pubblicato due romanzi negli anni ‘30 (Aspetta primavera, Bandini e Chiedi alla Polvere) quand’era appena ventenne e che è stato subito apprezzato dalla critica, venendo tradotto in Italia già nel 1941. Ma poi, assorbito da Hollywood come sceneggiatore, conoscerà un lungo periodo di oblio, per poi pubblicare nuovamente. L’autore parte da una domanda chiave: perché Fante è stato dimenticato per tanto tempo e poi improvvisamente riscoperto e amato, molto di più in Europa che negli Stati Uniti?
La critica dell’autore

Pettener contesta la critica che ha sottolineato soltanto le basi autobiografiche della sua narrazione. È vero che Fante prende spunto dalle sue radici italiane. Dalle vicende della sua famiglia, dalla sua esperienza di immigrato di seconda generazione e dalla sua precisa volontà di diventare uno scrittore. Ma la sua scrittura non è mai uno sfogo, una confessione. Anzi, tutto viene filtrato attraverso l’umorismo, un umorismo pirandelliano, tragicomico, bifronte: pianto e riso si fondono. Di fronte a certe scene irresistibili noi ridiamo ma al tempo stesso proviamo una profonda amarezza. Scrive Pettener: Fante «si sofferma sulla realtà non per giudicarla ma per coglierne la contradditorietà; […] nella scrittura di Fante non troviamo sdegno quanto piuttosto compassione per la condizione umana. I personaggi sono seguiti nelle loro incongruenze senza che l’autore si preoccupi di dar loro coerenza e questo porta il lettore a provare […] sentimenti diversi e a loro volta contrastanti.»
Un umorismo quindi spesso sottile che può passare inosservato a un lettore poco attento

Pettener lo usa come una lente d’ingrandimento che svela un nuovo approccio sul mondo italo-americano, sul rapporto che Fante mantiene con altri autori, da Cervantes a Knut Hamsun (sarà il suo romanzo Fame ad illuminarlo). E approfondisce un aspetto, il rapporto padre/figlio e sull’importanza metaforica che assume in tutta la sua narrativa.
Per citare una frase di Milan Kundera che Pettener inserisce nella sua conclusione al libro, potremmo sintetizzare così: John Fante «distrugge la casa della sua vita e usa le pietre per costruire la casa del suo romanzo». Se poi ricordiamo che era figlio di un muratore e che la figura del padre nei suoi romanzi ha un ruolo centrale, questa metafora risulta ancora più pertinente e significativa. Un autore che ci racconta cosa abbia significato negli anni Trenta del secolo scorso essere straniero negli Stati Uniti, cosa sia stato il “sogno americano”. Un autore dove troviamo «le brame della giovinezza e le disillusioni dell’età matura, il desiderio di appartenere e il desiderio di essere differenti, l’ambizione, l’orgoglio, l’odio, l’amore, le vittorie, le sconfitte – in breve – la vita.» Tutto condensato in una scrittura palpitante che gronda inarrestabile vitalità.
Chi è Pettener

Emanuele Pettener, nato a Mestre, vive in Florida dove insegna lingua e letteratura italiana alla Florida Atlantic University, di Boca Raton. Ha pubblicato diversi racconti e saggi, fra cui John Fante e gli altri: lo strano destino degli scrittori italoamericani (in Quei bravi ragazzi, a cura di G. Muscio e G. Spagnoletti, Marsilio, 2007) e curato il cinquantesimo numero della rivista “Nuova prosa”, Essere o non essere italoamericani (GrecoGreco, 2009). È autore dei romanzi: È sabato mi hai lasciato e sono bellissimo (Corbo Editore, 2009), Proust per bagnanti (Meligrana, 2013), Arancio (Meligrana, 2014) , Floridiana (Arkadia editore, 2021) e Giovani ci siamo amati senza saperlo (Arkadia, 2022). Ha scritto numerosi articoli e racconti apparsi su riviste statunitensi e italiane. In inglese, la raccolta di racconti A Season in Florida (Bordighera Press, 2014, traduzione di Thomas De Angelis).
Emanuele Pettener, Nel nome del padre, del figlio e dell’umorismo. I romanzi di John Fante. Nuova edizione aggiornata e corretta, Verona, Oligo Editore, 2023 (Prima edizione: Franco Cesati Editore, 2010).
Cari éNordEst e Annalisa Bruni, i saggi letterari trovano pochissimo spazio se non nelle riviste specializzate, quindi mi sento davvero grato per una lettura così accurata e precisa, che ha saputo condensare l’essenza del mio studio. Grazie.
Ne sono davvero lieta! Il libro merita.