“Con l’Hubble Space Telescope ci eravamo già spinti ad osservare galassie molto distanti, ma con il James Webb Telescope (JWST), a poco meno di un anno dalla sua entrata in funzione, abbiamo battuto subito ogni record, arrivando ad osservare galassie risalenti soltanto a 300 milioni di anni dopo il Big Bang – racconta Laura Pentericci, astrofisica dell’Osservatorio Astronomico di Roma e ricercatrice dell’Istituto nazionale di astrofisica (INAF). –
“La sfida non potrà continuare all’infinito per il semplice motivo che tutti i nostri modelli ci dicono che la formazione delle galassie non é ovviamente un processo istantaneo. In realtà però non si può parlare di vera e propria discrepanza con i modelli cosmologici. Per ora la cosa più sorprendente è l’abbondanza di queste galassie primordiali: non ci aspettavamo davvero di trovarne così tante e con una massa globale di stelle già pari a parecchie centinaia di milioni di masse solari. Anche se rimane il sogno di trovare le stelle POPIII”.
DottoressaPentericci, quali sono gli elementi che ci raccontano la composizione del Cosmo Primordiale?
“L’aspetto fantastico di JWST è che, non solo ci permette di individuare queste galassie distanti, ma ne rende possibile anche lo studio in grande dettaglio, ciò significa poter capire quanto grande è la massa delle stelle che le compongono, la loro età, la metallicità, il tasso di formazione di nuovi sistemi stellari e le loro proprietà ionizzanti. Per esempio, in un recente articolo, con una dottoranda dell’Osservatorio di Roma, abbiamo per la prima volta determinato quanti fotoni ionizzanti riescono a “scappare” dalle galassie per ionizzare il mezzo intergalattico, un risultato davvero significativo (Per saperne di più: https://www.media.inaf.it/2023/03/13/ecco-le-galassie-che-hanno-reionizzato-luniverso/).
Pentericci, le “galassie primordiali” quanto sono diverse da quelle che meglio conosciamo come la nostra amata Via Lattea o Andromeda?
“Le galassie primordiali sono molto diverse da quelle che siamo abituati ad osservare nel nostro Universo “locale”, ma locale è solo un modo di dire, dato che per esempio Andromeda si trova a 2,5 milioni di anni luce da noi. La maggior parte di queste galassie distanti sembra essere molto giovane e sta formando stelle davvero molto rapidamente. Queste galassie risultano di colore blu ed anche questo è un dato abbastanza inaspettato, perché esse dovrebbero contenere anche una certa quantità di polvere, prodotta dalle stelle in formazione, e questo processo dovrebbe arrossare leggermente i colori globali delle popolazioni stellari osservate.
Le stelle le vediamo, ma la polvere no, quindi stiamo cercando di capire l’origine di questa discrepanza. La mancanza di polvere è stata anche confermata dal telescopio ALMA, che è molto sensibile proprio all’emissione della polvere. Si stanno dunque valutando delle ipotesi: la polvere potrebbe essere stata espulsa o dislocata in modo da sfuggire all’osservazione oppure sono diversi i meccanismi con cui essa verrebbe prodotta nell’universo molto giovane”.
Alcune immagini trasmesse sempre dal JWEBB Telescope mostrano varie forme delle galassie primordiali, come possiamo descriverle?
“Osservare la forma delle galassie ci permette di capire i meccanismi con cui esse evolvono. Chiaramente più le galassie sono lontane più é difficile osservarne i dettagli. Nonostante la distanza, abbiamo rilevato che alcune foto delle galassie più distanti appaiono disturbate e ciò vuol dire che probabilmente le immagini sono il risultato di interazioni o accorpamenti tra più galassie: sembra quindi che anche nell’universo primordiale ci fossero violenti scontri che hanno portato poi probabilmente alla formazione di galassie più grandi”.
Pentericci, ma quali sono i metodi da voi utilizzati per studiare la morfologia delle galassie antichissime?
“Per studiare in dettaglio la morfologia delle galassie abbiamo utilizzato anche un alleato prezioso, oltre al JWEBB Telescope: cioé l’effetto di “lente gravitazionale”. Alcune delle osservazioni iniziali infatti sono state condotte in campi che contengono grandi ammassi di galassie tenuti insieme dalla gravità. Negli ammassi, in realtà, oltre alle galassie che possiamo osservare, c’è una grande quantità di materia oscura, per questi risultano essere oggetti supermassivi. La forza di gravità degli ammassi funge da “lente gravitazionale”, ovvero amplifica (e distorce) il segnale di tutte le galassie che si trovano al di là, cioé di quelle che sono più lontane.
Per questo riusciamo a vedere le galassie di background e possiamo studiarne in dettaglio la forma, perché ci appaiono molto più grandi di quanto siano in realtà. Dato che ci appaiono anche distorte, bisogna applicare però dei modelli accurati che, a partire dalla distribuzione di massa, risalgono alla vera forma delle galassie che si trovano sullo sfondo. La magnificazione arriva a fattori di qualche decina (ciò significa che sono dieci volte più brillanti) e per questo riusciamo addirittura a vedere oggetti piccolissimi come gli ammassi di stelle risalenti ad epoche primordiali, quando erano appena formati, e a studiarne così i dettagli”.
Entrando ancor più in dettaglio nella composizione di queste antichissime galassie, come possiamo descrivere le stelle primordiali che le compongono?
In tutte le galassie abbiamo comunque trovato indicazione della presenza di metalli nel mezzo interstellare (gli astronomi chiamano metallo tutto ciò che non è idrogeno o elio). La grande speranza da questo punto di vista invece è di riuscire a scoprire una galassia, in cui non ci sia ancora traccia di questi elementi metallici, cioé una galassia fatta solo di stelle primordiali, che vengono chiamate PoPIII. Non sappiamo ancora se JWEBB Telescope riuscirà a scoprire queste stelle, ma stiamo analizzando via via gli spettri di tutte le galassie che ci arrivano con la speranza appunto di vederne una in cui ci siano solamente le caratteristiche righe di emissione legate agli atomi di idrogeno e di elio”.
Pentericci, buchi neri supermassicci al centro delle più grandi galassie dell’universo locale. Vale anche per le “galassie primordiali”?
“Già nelle prime osservazioni sono stati trovati AGN, cioé nuclei galattici attivi, al centro di alcune galassie. La presenza di un AGN è un’indicazione che al centro della galassia si trova un buco nero in fase di accrescimento. Identificare questi AGN nelle galassie così lontane nello spazio-tempo dell’universo primordiale, non é affatto facile, si possono applicare criteri diversi e non tutti danno risultati concordanti. Ad esempio, al momento é in corso un grande dibattito sulla natura di una delle galassie più distanti, il cui spettro preso da uno degli strumenti di JWEBB Telescope ha rivelato caratteristiche che, per alcuni colleghi, sono chiaramente dovute alla presenza di un AGN.
Questo buco nero avrebbe una massa di più di un milione di masse stellari ed avrebbe avuto pochissimo tempo per crescere perché sarebbe risalente a soli 400 milioni di anni dopo il Big Bang. I nostri modelli teorici fanno fatica a prevedere la formazione di buchi neri così massicci in un lasso di tempo brevissimo, a meno che i “semi” da cui originano i buchi neri non siano essi stessi già molto grandi, cioé non si tratti di semplici buchi neri formatisi come prodotto finale della vita delle stelle. Al momento in ogni caso la statistica dei buchi neri nell’universo primordiale é ancora molto scarsa, perciò dovremo sicuramente attendere almeno un paio di anni, quando programmi più sistematici avranno completato le osservazioni”.
Può illustrarci più specificatamente in quale modo, e con quali strumenti ed elaborazioni, si riesce a catturare l’immagine delle “galassie primordiali”?
“Il JWEBB Telescope ha a bordo vari strumenti, ognuno dei quali può lavorare in varie modalità. Inoltre si possono anche utilizzare due strumenti contemporaneamente e ciò permette di acquisire le osservazioni in maniera molto più efficiente. Lo strumento forse più tradizionale é NIRCAM, una specie di macchina fotografica che ci permette di ottenere immagini molto nitide di una piccola porzione di cielo, a lunghezze d’onda da rosse ad infrarosse. Un’altra camera simile é MIRI, che però arriva ad osservare a lunghezze d’onda ancora più alte, coprendo fino a 28 micron”.
Pentericci, qual è lo strumento più rivoluzionario e più atteso?
“Lo strumento più rivoluzionario e più atteso è senza dubbio lo spettrografo NIRSPec: questi strumenti permettono di “disperdere” la luce di un oggetto celeste, fornendoci la distribuzione spettrale dell’emissione che contiene tantissime informazioni utili per capire la natura fisica di stelle e galassie. Non solo, NIRSPec può osservare contemporaneamente parecchie decine di oggetti scelti dall’astronomo, escludendo la luce di tutti gli altri, il che facilita l’analisi degli spettri ottenuti. Nei telescopi qui sulla terra, da molti anni, possiamo utilizzare vari spettrografi di questo tipo, ma é la prima volta che uno di questi strumenti si trova a bordo di un telescopio spaziale, dato che la tecnologia, per ottenere gli spettri soltanto delle galassie che ci interessano, é molto complessa.
NIRspec inoltre, al contrario degli spettrografi sulla terra, può anche osservare nell’ infrarosso. Infine c’é un altro spettrografo che si chiama NIRISS, che al contrario di NIRSpec, ottiene gli spettri di tutti gli oggetti che si trovano nel campo di osservazione: questa possibilità, da un lato, ci fornisce informazioni complete su tutti gli oggetti (senza una preselezione che potrebbe influenzare i risultati), per contro però estrarre l’informazione diventa più complesso, perché gli spettri di tutti gli oggetti si sovrappongono. Occorrono quindi dei tools più complessi per portare a termine l’analisi scientifica. In generale comunque sono stati sviluppati nuovi tools proprio per elaborare i dati rilevati da tutti questi strumenti: i problemi sono molteplici e stiamo ancora cercando di capire qual è la metodologia migliore”.
A distanza di 13 miliardi di anni luce come potrebbero essersi evolute nel frattempo le “galassie primordiali” che noi abbiamo conosciuto ora? È possibile che esistano ancora? E quali evoluzioni possiamo ipotizzare?
“Possiamo certamente fare delle ipotesi, sia perché devono esserci dei legami tra le immagini che osserviamo come risalenti a 13 miliardi di anni fa e le immagini che colleghiamo ad epoche successive e quindi più recenti. Un sistema che ci permette di confrontare le varie epoche é cercare di “simulare” la vita di una galassia e la sua interazione con l’ambiente; ovvero con le altre galassie, ma anche con il gas intergalattico”.
Pentericci, quali sorprese si aspetta dal JWEBB Telescope?
“Le sorprese sono state già tante e sicuramente ce ne saranno ancora. Personalmente nel campo delle galassie mi aspetto di arrivare ad epoche ancora più remote, fino a 200 milioni di anni dopo il Big Bang. A quel punto le galassie osservabili dovrebbero essere davvero appena formate e quindi sarà eccitante vedere quali proprietà mostrano e se coincidono con le previsioni dei fisici teorici. Io mi aspetto anche di trovare le famose stelle di PoPIII, che ho menzionato sopra, mentre molti miei colleghi sono al momento scettici, sostenendo che, dato che queste stelle vivono pochi milioni di anni, esse arricchiscono subito il mezzo interstellare di metalli. Staremo a vedere!”.
*NOTA BIOGRAFICA LAURA PENTERICCI
Laurea Magistrale in Fisica, Università degli studi di Bologna
PhD in Astrofisica, Universita’ di Leiden, Paesi Bassi
Titolare del corso “Astrofisica Extragalattica”, Laurea Magistrale in Astrofisica , Universita’ La Sapienza di Roma
Editrice scientifico per la principale rivista europea del settore, “Astronomy &
Astrophysics” – sezione Cosmologia
Prima ricercatrice INAF- Osservatorio Astronomico di Roma – Italia