“Cammina e cammina”: è un modo di dire, perché l’invasore invisibile che chiamiamo quasi confidenzialmente Covid 19 è ancora in mezzo a noi: non ha le gambe, ma la sua marcia ci raggiunge comunque, ed è pericolosa fino alla morte della persona colpita. Intanto a Roma cambiano i governi – il quarto dall’inizio della pandemia – e anche l’infezione virale si traveste cioè cambia forma per meglio ingannare le armi degli umani.
Ora, la diffusione delle notizie, ovvero la cronaca della pandemia ormai quasi triennale ci dice che la realtà quotidiana del contagio è seria, cioè, in parole diverse, è ancora pericolosa: il triste bollettino quotidiano non placa la paura, anzi la conferma.
Un gioco a nascondino lo ha definito il mio Cavalier Vax, appena richiamato in servizio. ”Non sono una statuina del presepio!” ha detto di sé, “io sono una forza che si oppone all’anestesia mediatica dei Poteri Concentrati, sveglio anche di notte”. Queste sue parole orgogliose servono a definirne il ruolo ideale di Difensore dei vaccini. E infatti lo vediamo come personaggio positivo: lui lotta, ma nella realtà il contrasto al virus non è armato di sufficiente impegno. Semplificare la realtà è un grave peccato sociale: si banalizza il rischio.
La situazione si può esprimere in tre parole che suonano la sveglia ogni mattina: il virus uccide! E lo aiuta, complice inconsapevole, la leggerezza che vaga ai vari livelli di responsabilità. Il mio Cavaliere è realista e preoccupato: “C’è un killer in mezzo a noi, resiste, è sfuggente, è un killer trasformista e noi siamo i suoi bersagli preferiti…” Il “balzo del contagio” può raggiungere ciascuno di noi.
E aggiunge, attingendo alla sua scarna filosofia: “La morte non è una soluzione per noi, ma per Lui, il Virus multiforme. Tra persuasione e obbligo non c’è una via di mezzo: sono azioni che separatamente bussano alle nostre coscienze e, soprattutto, ci costringono alla scelta dell’asino delle favole: o la carota o il bastone.”
Cattivello, il Cavalier Vax. Vero?
Alberi come persone
Italo Calvino aveva creato il personaggio di Cosimo, l’inquieto rampollo di una famiglia di piccola nobiltà che un giorno lontano da noi, nel 1700, si rifugiò su un albero del giardino e da lì non scese più, vivendo di conseguenza una magnifica esperienza di “viaggio” camminando fra i rami di albero in albero, avventurosamente: è Il barone rampante, uscito da Einaudi nel 1967.
Oggi lo vedo uscire dal fiabesco per vestire i panni di una studiosa-acrobata francese, Karine Marsilly, che fa un lavoro strano quanto degno di attenzione: infatti si arrampica sugli alberi malati per curarli. Anche la sua vicenda professionale e umana si trova descritta in un libro in circolazione: La mia vita con gli alberi (Einaudi 2022). Un medico rampante fuori dalla fiaba.
Lassù fra le chiome verdi avvengono incontri del terzo tipo fra due creature che sono anche i terminali di due mondi, come sempre lo sono il medico e il paziente, con la differenza che qui il malato non dice trentatrè e, comunque, va auscultato a tre metri d’altezza nell’abbraccio delle sue fronde.
Questo curioso comportamento – curioso e poetico direi – fa scattare un ricordo: nella famiglia dell’Anonimo c’è stato un contadino che faceva gli incalmi cioè in pratica il … chirurgo delle piante: era il nonno Titta che innestava ramoscelli di alberi da frutto su piante diverse. Con perizia e amore, quegli interventi stagionali, autenticamente chirurgici, aiutavano la natura a migliorare i propri frutti: era ed è ancora oggi, una forma di cura.
Titta era un uomo semplice, gran lavoratore. Non aveva studiato, ma aveva imparato da Madre Natura grazie anche al suo rapporto empatico con il mondo rurale, dove la natura è regolata, curata e in fondo organizzata: non esistono forse gli “educatori delle piante”? Lui era così.
Un proverbio veneto un po’ strano dice: “Per San Giuseppe, filio di Maria, chi incalma i fruti no li buta via”.
Guerra, effetti secondari
Nel vicentino è stata dissotterrata una bomba incendiaria della seconda guerra mondiale e la notizia è finita nel tg regionale. La notizia completa è che ogni anno si scoprono centinaia di bombe sepolte nelle nostre campagne e città: neutralizzate dagli artificieri, vengono fatte esplodere in alto mare, pericolo scampato. Ma il pensiero di quegli ordigni ci inquieta: le guerre non finiscono mai veramente? I lutti, le cicatrici nei cuori e nell’ambiente, i veleni che intossicano i rapporti umani, generazioni di giovani sacrificati al fronte, i bombardamenti sui civili. Il male è un accumulo continuo.
Ogni guerra ha i suoi resti laceranti e minacciosi e noi li ereditiamo! Qui a nordest abbiamo avuto il fenomeno dei recuperanti, raccoglitori proprio dei “resti” della Prima guerra mondiale in particolare nelle trincee e nei campi dell’Altopiano di Asiago: bossoli, rottami, granate inesplose, frammenti metallici, esplosivi ecc. Un bottino che poteva costare la morte. Li abbiamo visti, quei cercatori di residuati bellici, reinventati nella loro sofferta umanità da Ermanno Olmi e Mario Rigoni Stern nel loro film omonimo I replicanti (1970), recentemente restaurato a futura memoria.
Natale
(poesia)
Ma quando facevo il pastore
allora ero certo del tuo Natale.
I campi bianchi di brina,
i campi rotti al gracidio dei corvi
nel mio Friuli sotto la montagna,
erano il giusto spazio alla calata
delle genti favolose.
I tronchi degli alberi parevano
creature piene di ferite;
mia madre era parente
della Vergine,
tutta in faccende
finalmente serena.
Io portavo le pecore fino al sagrato
e sapevo d’essere uomo vero
del tuo regale presepio.
David Maria Turoldo
Da O sensi miei…, Rizzoli editore 1990