Che cosa siamo, noi specie dominante sulla Terra, noi orgogliosi Homo Sapiens, se non “nani sulle spalle di un gigante” che si chiama Gaia, ed è la nostra culla ancestrale, il nostro mondo collocato nell’infinità del cosmo? Si può rispondere in vari modi. Ma temo che siano più forti i silenzi in tutta la Piramide della Responsabilità di cui siamo i mattoni.
Io, per esempio, mi sono sentito “interpellato“ dalla vibrante passione civile che si percepisce in filigrana nel recente Appello pubblico inviato ai governanti da un gruppo di scienziati del clima (diffuso da Repubblica, dove l’ho letto).
Non è, però e purtroppo, il primo grido d’allarme ecologico proveniente dal mondo scientifico; ciò che lo rende attuale è il senso di urgenza con cui è stato scritto: la Terra è in sofferenza e rischia di diventare una discarica globale dei nostri umanissimi rifiuti e veleni.
La minaccia si esprime con segni violenti come siccità, diluvi brevi e assassini, pandemie, incendi apocalittici, montagne che crollano e, in aggiunta, la grande inquinatrice e devastatrice di umanità: la guerra in Ucraina.

Tutto questo avviene adesso, in questo preciso oggi storico. Il gigante è ferito e tormentato, e qualcuno che lo sa ascoltare si chiede: io persona, nel mio piccolo guscio, cosa c’entro con i problemi stellari affrontati dalla scienza?
In questi giorni, tanti, a volte inquietanti pensieri ci echeggiano nella mente assediata, diciamo pure che ci pesano addosso come sassi di montagna: ci parlano di transizione ecologica ma una classe politica instabile e litigiosa ha perduto anni, decenni a parlare a vuoto, sorda al problema dei problemi: salvaguardare la “casa comune”, cioè il mondo e i suoi abitanti, dalle piante agli umani, dagli animali agli oceani…. La domanda di prima ci riguarda come inquilini del grande condominio Terra. Ci vuole qualcosa di semplice: per esempio potremmo adottare un comportamento chiamato disciplina. Semplice, d’accordo, ma (non ci sarebbe bisogno di sottolinearlo), una disciplina dev’essere fatta di atti responsabili: di decreti governativi ne abbiamo avuti anche troppi negli ultimi anni. Adesso la transizione dovrebbe chiamarsi conversione.
Ville antiche nel paesaggio

Sabato 22 e domenica 23 i veneti e i friulani proprietari di ville venete apriranno le loro bellissime dimore al pubblico: sarà una festa di cui approfittare per entrare fisicamente in quelle architetture non solo palladiane, vere nicchie del privilegio trasformate dall’Unesco in patrimonio dell’umanità e, aggiungo, grazie alla battaglia per il loro riscatto che ne fece l’indimenticabile Bepi Mazzotti.
Ci è offerta “un’esperienza di vivere per riportare equilibrio, bellezza e armonia al centro del vivere quotidiano” come suggerisce Isabella Collalto presidente dell’Associazione per le ville venete promotrice del week end insieme con lo storico Istituto regionale che gestisce il grande “museo diffuso (800 ville visitabili).
Oltre alle visite guidate, alle passeggiate nei parchi, alla gastronomia e a tanti spettacoli, si farà un convegno a Susegana (castello di San Salvatore) dal titolo impegnativo: “Ville venete. Orizzonti oltre i soliti confini”. Dice il saggio: il patrimonio costituito dalle ville venete è come il paesaggio, che non appartiene a una categoria o classe sociale: le antiche ville sono beni culturali che ci invitano “a porte aperte”. Un’esperienza fortemente emotiva: provare per credere”. www.giornatavillevenete.it
Incontrarsi… tra le bancarelle

C’è un mondo che si specchia in migliaia di cose e in una sola parola: mercato. Pensiamo insieme: ogni giorno consumiamo cibo che proviene “da lì”, grandi botteghe frazionate e specializzate che sono i mercati rionali nelle grandi città. E i settimanali che si celebrano ovunque, fin dal medioevo, perfino nelle frazioni dei paesi.
Pensiamo ancora: frequentiamo più o meno spesso le bancarelle, magari illudendoci o sperando seriamente di trovarvi la convenienza, l’occasione di un bel risparmio. Ma c’è anche un’altra motivazione: l’allegria del folclore commerciale, il piacere di darsi alla ricerca di curiosità nostrane ma anche esotiche… e bellezza (siamo degli esteti, più o meno).
Il verbo incontrare è attraente: significa infatti trovarsi, come al cinema o allo stadio, davanti qualcuno con cui condividere uno scopo, anche effimero come comperare la verdura o il pasce fresco; ma c’è tutta una fiera di colori, di voci, forme che vengono “dall’altra parte del mondo”.
Si va per vedere l’altro e per essere visti, magari ci si sfiora e si sorride dentro la mascherina anti Covid. Un vedersi di sfuggita (ah la precarietà del vivere…) quasi un urtarsi quando si è in mezzo alla folla e noi stessi siamo la folla, nei giorni stabiliti. E proprio questo frenetico movimento – da alveare ronzante – si definisce come spettacolo nel quale siamo tuti coinvolti, i venditori per primi con i loro richiami che ci interpellano ormai in tante lingue e dialetti e poi i clienti, spettatori attivi lieti di partecipare a un piacevole ma anche necessario rituale collettivo.
Giro delle stagioni

(poesia)
Giro delle stagioni,
coi perduti colori di ciascuna
e il tacito pianto di tutte:
che vanno e vanno e nessuno sa dove,
che muoiono sui loro fiori morti,
sui loro frutti marciti di pioggia
e di sole, e rinascono nell’aria
per un fiato di vento, per un aspro
odor di terra e un dilagare d’erba
tra i sassi, per un rapido barlume
d’azzurro in nubi nere.
E il cuore, il cuore vorrebbe sapere,
ma è separato e diverso dal mondo:
dall’albero e dal fiume,
dal lampo del mattino e dalle brume
della sera; diverso dal suo stesso
sangue che va e si gira armonioso,
che va e si gira come le stagioni,
senza riposo.
Diego Valeri
Da Il mio nome sul vento, a cura di Carlo Londero,
Il ponte del sale editore, Rovigo 2022

















































































