Potessi avere l’intera collezione di magliette (anche usate) di Matteo Salvini degli ultimi dieci anni, aprirei un museo. Titolo: la centralità mediatica di un politico nel primo ventennio del 21esimo secolo. Ci sarebbe la storia, come direbbe Gramellini, della “comunicazione senza memoria”. La mia non vuol essere una critica politica, destra o sinistra non sono l’argomento della discussione, ma la comunicazione attraverso il corpo, ovvero magliette. Mussolini a petto nudo che trebbia il grano a Sabaudia, era solo un dilettante e non aveva alcuna felpa.
La felpa ai tempi degli smartphone

La comunicazione ai tempi degli smartphone è un’altra cosa. Parliamo di un politico della nostra democrazia che conta di 2,2 milioni di follower quotidiani e che in questi anni ha postato circa 13 mila immagini. Di sé. Un politico che ha inventato un social, con il suo capo della comunicazione aggressiva, Luca Morisi, dal poco innocuo appellativo di: “La Bestia”. “Qui gladio ferit , gladio perit”, direbbe Matteo (26.52) citando Gesù nel Vangelo. Tradotto oggi suonerebbe così: chi di maglietta ferisce, di maglietta perisce.
Oggi è fin troppo facile irridere sullo scivolone polacco di Salvini
In sua difesa: io sono qui ai confini ucraini e voi? Io sto manifestando solidarietà e voi? Il dramma teatrale è che lo sgambetto, davanti a una decina di famigerati smartphone (mannaggia) lo ha organizzato un sindaco polacco di destra, Wojciech Bakun, di un paesino di confine, che smanettando sui social (mannaggia 2) si è accertato che il Capitano, è uno dei più importanti leader italiani e in più occasioni indossava le magliette (mannaggia 3) di Wladimir Putin.
È qui che le canottiere diventano museo e galleria

C’è la t-shirt antica e dal valore inestimabile, verde, con la scritta “Padania is not Italy”. Un pezzo da collezione. “Stop invasione!”, ma non era quella russa, ma degli immigrati in Mediterraneo. “Mai più Vajont!”, indossata garbatamente un 9 ottobre (perché le date sono importanti). Altra maglia da collezione: “Basta euro!” Perché l’Unione europea era il nemico del momento. In colore azzurro invece con la scritta “No vax” e la spiegazione, acuta: io non vaccino mio figlio. Altre magliette da collezione rara: “La pacchia è finita”, “Meglio Bestia!”, “Prima gli italiani!”.

Eppoi, sempre con il linguaggio del corpo, Salvini al citofono, Salvini in discoteca al Papeete, pacifista, contro i gommoni, fino ad esibire un imprudente maglia della Polizia di Stato, per fortuna subito dismessa dopo tonnellate di critiche, anche del sindacato.
Dalla felpa con le scritte alla maglia da croceressino
Sempre Massimo Gramellini sul Corriere, gli fa barba e capelli: “Salvini si è tolto la maglietta del putiniano per mettere quella del crocerossino con la disinvoltura di un bambino che cambia maschera a Carnevale. Il segretario della Lega è il prodotto tipico dei social che si muove in un eterno presente. Sembra la pesciolina Dory che non si ricorda mai cosa è successo un attimo prima”.
Dalla felpa alla mascherina

Allora faccio indossare al segretario la mascherina di ordinanza, quella tricolore bianco-rosso-verde (per fortuna che a suo tempo era federalista e separatista….) e dico qualcosa a suo favore e contro la mia categoria, quella dei giornalisti, più o meno di regime.
Ma non bastava scusarsi?

Allora ragioniamo. Salvini si presenta al confine polacco in giaccone sponsorizzato e davanti alla stampa e ai microfoni, si trova davanti un sindaco che estrae, aprendo a sorpresa la cerniera, la famigerata maglietta di Putin, esibita anni prima in Piazza Rossa. Gli smartphone colpiscono duro. Ma ne basta uno perché le immagini e la figuraccia, con offese non proprio tenere, faccia il giro del mondo. Credo che dopo mezz’ora qualche milione di italiani abbia già visto e rivisto la scena e se ne sia fatta una ragione. A destra, al centro e a sinistra. Con il senno di poi avrei consigliato a Salvini di chiedere immediatamente scusa.
Anche Berlusconi era un vecchio amico di Putin e il deputato pentastellato Petrocelli, lo difende ancora. Ma non hanno mai indossato le sue magliette. E soprattutto sono stati zitti.
La felpa e l’informazione

Il bello (diciamo così) succede dopo. Voglio proprio vedere come i Tg di Stato affrontano la faccenda. Agiscono come se milioni di individui, ovvero vecchi tele-utenti che pagano il canone, non avessero già visto tutto e attendessero i telegiornali Rai per avere l’agognata informazione basilare. Nei Tg era tutto censurato ed edulcorato. Audio spento, figuraccia al minimo indispensabile, quasi una notizia “en passant”.
Ma vivaddio! Capisco che media, sia mediante, sia interpolazione, ma trattare così gli utenti, anche no.
Piccola ulteriore riflessione

Giornali e giornaloni ai minimi storici di diffusione. Telegiornali con scarsa credibilità, social e web imperanti.
Che sia radicalmente cambiata l’informazione?