Pier Paolo Pasolini ha manifestato il suo genio in molti modi dalla poesia alla pittura, passando per la narrativa e il teatro e toccando, come ultima arte, solo in ordine di tempo, il cinema. In ognuna di queste attività ha lasciato un segno inconfondibile. Dove lui è passato nulla è più rimasto come prima. Ha scosso le coscienze mettendo a nudo i limiti della borghesia italiana. Con le sue opere non ha nascosto la polvere sotto il tappeto ma ha sollevato il tappeto e aperto contemporaneamente le finestre per farla volare via quella polvere. Per questo e mille altri motivi, è giusto definire Pasolini un rivoluzionario.
Pier Paolo Pasolini e i cambiamenti

Gli stessi cambiamenti che ha messo in atto nella letteratura e nella politica, li ha applicati anche nel cinema, inventando un nuovo linguaggio. Da neofita della materia, si è prima abbeverato alla fonte di grandi maestri come Federico Fellini e Mario Soldati. Fu proprio il regista-scrittore piemontese a far avvicinare al cinema Pasolini, intravedendo nel giovane intellettuale, da poco trasferitosi a Roma dove aveva iniziato a fare l’insegnante, delle qualità che potevano abbinarsi bene al cinema.
Il rapporto con Fellini

Gli chiese di collaborare, nel 1954, alla sceneggiatura del suo film “La donna del fiume”. La pellicola non ebbe un gran successo e servì solo per lanciare (su volere del produttore-marito Carlo Ponti) Sophia Loren come attrice drammatica. Il film mise in luce la capacità di scrittura per il cinema di Pasolini, notate immediatamente da Federico Fellini. Il regista riminese chiamò così Pasolini per coinvolgerlo nella sceneggiatura delle “Le notti di Cabiria” e, soprattutto, aiutandolo in seguito nella produzione del suo primo film.
Pier Paolo Pasolini e la sceneggiatura

Il nome di Pier Paolo iniziò a circolare sempre con maggior insistenza negli ambienti cinematografici e Roma, dove si era ormai stabilito, diventò la piazza ideale per lavorare, al punto che lasciò il lavoro d’insegnante per dedicarsi solo alla sceneggiatura e alla sua produzione letteraria. Nacque un importante sodalizio con Mauro Bolognini che generò collaborazioni importanti, su tutte “Giovani Mariti” grazie al quale Pasolini vinse, in compartecipazione, nel 1958 il premio come miglior sceneggiatura originale al Festival di Cannes.
La maturazione di Pier Paolo Pasolini
Il ruolo di sceneggiatore iniziava a stare stretto a Pasolini che sembrava ormai maturo per un film come regista. Nel 1961 uscì “Accattone”, la sua opera prima. Un pugno nello stomaco per l’Italia dell’epoca. Fu il primo film italiano a essere vietato ai minori di 18 anni e portò sullo schermo la cruda realtà delle borgate romane, resa ancora più viva da un meraviglioso e luminoso bianco e nero di un maestro della fotografia come Tonino Delli Colli che accompagnerà poi tutta la carriera cinematografica di Pier Paolo. Protagonista della pellicola è Franco Citti, amico di Pasolini nella vita e al suo primo film in carriera. Citti non era un professionista e, del resto, lo stesso Pasolini non amava utilizzare, tranne rari casi, attori famosi. “Accattone”, fu presentato alla Mostra del cinema di Venezia, creando scandalo e polemiche nel nostro Paese ma regalando fama mondiale al regista.
Il secondo film
Dopo solo un anno, Pasolini tirò fuori “Mamma Roma”, utilizzando in questo caso un’attrice di fama internazionale come Anna Magnani. Il film scatenò meno polemiche di “Accattone” ma confermò la bravura del regista, abile, pur se giovane e non espertissimo, a domare una leonessa del set come la Magnani. Pasolini, pur se tra mille polemiche dovute sia ai contenuti dei suoi libri e dei suoi film e alle vicende della sua vita privata, era ormai tra i grossi nomi del cinema mondiale.
Pier Paolo Pasolini a processo per RO.GO.PA.G.
Per questo venne chiamato a collaborare ad un film ad episodi con dei mostri sacri come Rossellini e Godard. Il film è RO.GO.PA.G (acronimo dei registi partecipanti: Rossellini, Godard, Pasolini e Gregoretti) dove lui contribuì con l’episodio “La ricotta”, sollevando, come con “Accattone”, una montagna di polemiche. Per colpa de “La ricotta” Pasolini finirà addirittura sotto processo e rimediando per vilipendio alla religione la condanna a 4 mesi di reclusione.
La colpa

La colpa del regista fu quella di aver denigrato l’immagine di Gesù, facendolo interpretare da un poveraccio nel ruolo di Cristo durante la crocefissione. Il disgraziato nel film muore realmente sulla croce per aver mangiato troppa ricotta. Nel film, pieno di raffinatissime citazioni, Pasolini mischia riferimenti a opere d’arte famose, ma scaglia anche un attacco frontale alla società dell’epoca.
Pier Paolo Pasolini e la Chiesa
Nel lavoro successivo, Pasolini continuò su temi religiosi, tornando però alla scelta di attori non professionisti. Parliamo del “Vangelo secondo Matteo” che lanciò in modo definitivo Pasolini a livello internazionale, accentrando al tempo stesso nei suoi confronti le ire e il disprezzo della Chiesa, anche se il regista dedicò, nei titoli di testa, la sua opera «alla cara, lieta e familiare memoria di Giovanni XXIII». Il film pluripremiato alla sua uscita, fu però distrutto dalla stampa moralista e benpensante, ma ebbe un tardivo riconoscimento da parte delle Autorità Ecclesiastiche 50 anni sull’Osservatore Romano dove venne definito «un capolavoro, probabilmente il miglior film su Gesù mai girato».
La collaborazione con Totò
Nel 1966 Pasolini s‘inventò un film completamente diverso: “Uccellacci ed Uccellini”, chiamando a sé Totò, il principe della risata. Il grande attore napoletano ebbe così la soddisfazione, prima di morire, di recitare in un ruolo drammatico, dimostrando le sue straordinarie qualità d’attore a chi sosteneva che fosse solo un comico. “Uccellacci ed Uccellini” spiazzò il pubblico, sia per l’uso di Totò sia per la costruzione del film che alternava fase poetiche a documentaristiche, dimostrando col tempo di essere un’opera geniale. In coppia con Totò esordì un giovanissimo Ninetto Davoli, altro attore feticcio, insieme a Citti, di Pasolini.
La coppia Totò-Davoli funzionò, al punto che Pasolini la ripropose in due deliziosi film a episodi: “La terra vista dalla luna” e “Che cosa sono le nuvole?” Fu il canto del cigno per il principe De Curtis che poco dopo morirà con il riconoscimento internazionale della sua caratura d’attore grazie alla sua riscoperta da parte di Pasolini.
La riscoperta dei classici

Il regista si cimentò poi in un due trasposizioni della tragedia greca come “Edipo re” e “Medea”, intervallati da “Teorema” e “Porcile”. In “Medea” si segnalò nel ruolo di protagonista femminile Maria Callas, grande amica di Pasolini, e in quello maschile Giuseppe Gentile, primatista mondiale di salto triplo e medaglia di bronzo nel salto triplo alle Olimpiadi di Messico 1968.
Pier Paolo Pasolini e la trilogia
Dopo “Medea”, Pasolini si dedicò alla cosiddetta “trilogia della via”. Composta dalla trasposizione in chiave erotica di tre capolavori letterari: “Il Decameron”, “I racconti di Canterbury” e “Il fiore delle mille e una notte”, girati tra il 1971 e il 1974. Le opere ebbero un ottimo successo di pubblico e grandi riconoscimenti internazionali. Ma lo stesso Pasolini, dopo l’uscita del terzo film, scrisse una lettera di abiura sui tre film, deluso forte da alcuni attacchi della critica.
Un addio mai concluso

Il regista si dedicò infine ad una seconda trilogia della vita. Iniziando con “Salò o le 120 giornate di Sodoma” che nella sua mente doveva essere un definitivo attacco alla censura che l’aveva massacrato dall’inizio della sua carriera. Ebbe però solo il tempo di finire solo il primo film che uscì poche settimane dopo la sua tragica morte all’idroscalo di Ostia il 2 novembre 1975 in circostanze mai del tutto chiarite.