Chi ha dovuto abbandonare casa, averi, affetti, abitudini, relazioni in seguito a guerre, persecuzioni, o altri eventi traumatici per cercare di ricostruirsi altrove, conosce bene la sensazione di straniamento e di struggente nostalgia per la propria terra che non solo rimane per tutta la propria esistenza ma si trasmette in modo impercettibile e tuttavia persistente, come un’eredità genetica, anche alle generazioni successive.
L’eredità
Non credo sia un caso, se negli ultimi anni, giunti alla seconda generazione, diversi scrittori hanno sentito la necessità di confrontarsi con il passato dei “nonni”, cercando una risposta, con la narrazione, al desiderio impellente di ricostruire la loro storia, tentando di capire le loro ragioni, la loro struggente sofferenza, alcuni di essi riconoscendola come propria. Così è accaduto per Silvio Testa e la sua Zaratina (Marsilio, 2017), per Pietro Spirito con Il suo nome quel giorno (Marsilio, 2018), per Cristina Gregorin con il romanzo d’esordio L’ultima testimone (Garzanti, 2020). Storie che ci parlano di terre di confine, l’Istria, la Dalmazia e Fiume, ma anche Trieste, destinate a venire lacerate da contese sanguinose, da rivendicazioni infinite spesso sfociate nell’odio e nella vendetta, alle volte lasciate sedimentare (o incancrenirsi) nell’oblio, ma anche, nei casi migliori, elaborate e superate con fatica e dolore.
Il primo romanzo
In questo filone si inserisce a pieno titolo il primo romanzo di Federica Marzi, La mia casa altrove, da poco pubblicato per i tipi di Bottega Errante edizioni, nel quale, tra il 2004 e il 2005, le vicende di Norina, esule istriana e Amila, giovane bosniaca, si intrecciano, così come si intrecciano la tragedia di chi, nel secondo dopoguerra, ha dovuto fuggire dalla sua patria, e quella di chi, decenni dopo, ha vissuto la stessa esperienza per aver salva la vita: paura, emigrazione, campo profughi, ostilità subita, disorientamento, silenzi, soprattutto silenzi che non permettono di conoscere fino in fondo cosa sia realmente accaduto alle loro vite. Norina e Amila vivono entrambe a Trieste, terra di confine, appunto, martoriata dalla storia, dove molti esuli hanno trovato rifugio.
La narrazione ha inizio con un incidente d’auto nella campagna istriana, in medias res, come si dice, e tutto il romanzo procede per giungere a rispondere a molte domande: perché Amila ha preso (non rubato, dice lei) la Panda a Norina, perché ha attraversato la frontiera di Dragogna fra la Croazia e la Slovenia, cosa – o meglio, chi – stava cercando e perché?
Tra due vite
Il lettore si trova immerso tra queste due vite, le attraversa, si immedesima in due amori molto diversi, quello di Norina per Franco – un personaggio ambiguo che finisce non solo per deluderla, ma a guerra finita fugge in Australia con Nevia, la sorella di lei – e quello di Amila per il giovane italo-australiano Simon, che riemerge dal passato, nipote di Nevia e, forse, di Franco. Questo ragazzo entusiasta e curioso, desidera conoscere la terra d’origine e chiede l’ospitalità della zia per qualche giorno prima di continuare il suo viaggio in Europa, e lì conosce Amila che in quell’estate, per fare qualche soldo, tiene compagnia a Mariano, il marito di Norina. Simon, però, non desidera solo fare il turista, ha un’impellenza molto più forte: ritrovare Franco, che non ha mai riconosciuto Ann, sua madre, e ha presto abbandonato anche Nevia, diventando un fantasma, un mistero per tutti.
Federica Marzi, tra continui flash back che ci trasportano, come fossimo in una macchina del tempo, nell’autunno del 1956 e nel gennaio del 1997, racconta queste vite, queste famiglie da una parte divise a causa del rancore (Norina e Nevia), dall’altra riunite e salvate ma minate dai sensi di colpa per chi non ha avuto la stessa fortuna (la famiglia di Amila, gli Hadžigrahić, un nome e cognome che svelano subito la loro identità). Vite dominate da quella che l’autrice definisce “italianità sbilenca”: gente di confine, etnie mescolate, vecchie e nuove migrazioni (p. 203). Vite segnate da quella che l’autrice, con un felice neologismo, chiama “stranieritudine”: per lei un misto di “stranieraggine e rettitudine”, per me piuttosto una sintesi tra stranieraggine e solitudine.
Realtà diverse ma compatibili
E tra queste due realtà diverse eppure molto simili tra loro, si inserisce Simon, arrivato da un altro mondo, dall’altra parte del mondo, con la sua curiosità verso un personaggio, Franco, di cui non sapeva nulla, ma che voleva comunque ritrovare per cercare di comprenderlo. Simon si mette a giocare con il passato, probabilmente senza rendersi bene conto di cosa avrebbe scatenato. Perché la verità è come un fiume carsico che può inabissarsi, ma prima o poi finisce per sgorgare di nuovo fuori dalla terra. Non si può fare finta che scompaia nel nulla, da qualche parte la verità deve pur andare a finire per poi riemergere (p. 228), ma non è detto che ciò che veniamo a scoprire ci piaccia o ci dia pace.
La scrittura di Federica Marzi è matura, ricca di sfumature determinate dall’uso del dialetto gestito con vera maestria (Norina parla sempre in dialetto, ed è bello, leggendo, evocarne le sonorità, le tonalità a volte aspre, a volte morbide), dalle notazioni paesaggistiche che ci restituiscono con un percepibile affetto i luoghi dove si muovono i personaggi: il bosco che Norina cerca per stare sola con se stessa, il mare che porterà ad Amila una cocente delusione d’amore, le calli e le case di Buie, le baracche del campo profughi, la campagna desolata della croata Buroli, gli interni delle case che abitano, o hanno abitato, i protagonisti della storia. Federica Marzi è mezza istriana, e nella sua scrittura è ben presente l’anima di questa terra, che sa restituire con amore e rispetto, ben sapendo che è una terra complicata e difficile da raccontare. Ma Federica Marzi lo sa fare benissimo.
Chi è
Federica Marzi è nata nel 1974 a Trieste, dove vive e dove si dedica all’insegnamento delle lingue straniere e alla scrittura. Suoi racconti sono apparsi su antologie e riviste in Italia, Croazia e Bosnia. La mia casa altrove è il suo primo romanzo.
Federica Marzi, La mia casa altrove, Udine, Bottega errante edizioni, 2021
Grazie ad Annalisa Bruni per aver colto con precisione e sensibilità le storie e lo stile raccontato da Federica Marzi nel suo libro. Un libro che prima di amare come editori, abbiamo amato fortemente come lettori.
Bellísima recensione. Ho letto anch’io il libro e mi ritrovo nelle riflessioni, nelle domande. Un gran bel romanzo.