Forner, remer, spezier, marangon, scaleter, luganegher, pistor. Inutile ricordare la funzione sociale e lavorativa dei campielli veneziani. Un incrocio tra campo e calle, dove si svolgeva la vita dei veneziani di un tempo che fu. Una Venezia viva e pullulante, ovviamente senza turisti. Un nome talmente importante cui Carlo Goldoni dedicherà una delle sue commedie più belle, con la dolce Gasparina. Tanto che il grande musicista Ermanno Wolf Ferrari la trasformerà in opera musicale. “Bondì caro campielo, no dirò che ti sii bruto, né belo. Se bruto ti xe sta, mi me despiase. No se bel quel ch’è bel, ma quel che piase”. Ritornello diventato un vero tormentone nella Venezia degli anni Trenta.
La nascita del premio Campiello
Nel dopoguerra gli industriali veneti, titoleranno il fortunato premio letterario Campiello. Una azzeccata quanto famosa iniziativa culturale e unica del suo genere. Tanto che il russo, premio Nobel Josif Brodskij, che in un campiello alle Zattere per anni visse, scrisse una delle più belle frasi sulla sua città di adozione. “Un’opera d’arte ha una sola alternativa. O illuminare il cuore degli uomini o essere distrutta”.
Venezia nei Campielli
Grandi riflessioni dunque nel leggere il libro “Venezia nei campielli”, un percorso fra 217 luoghi minori della città e della laguna. Con i tipi della Supernova Editrice e con il patrocinio dell’Ateneo Veneto.
Infatti il termine topografico campiello ha una ampiezza notevole, da Chioggia a Grado, passando per Mestre. Il volume è anche un approfondimento sociale e urbanistico. Scrive Franco Mancuso, docente di Progettazione urbanista allo Iuav di Venezia, dopo aver insegnato in tutto il mondo. Egli annota: per esempio all’isola popolare della Giudecca il campiello del Forno è dieci volte più piccolo di quello dei Cordami…
Tre autori: un professore, uno storico e un fotografo
Dimenticavo, il libro è stato scritto a sei mani da tre veneziani doc. Oltre al professor Mancuso, allo storico otto-novecentista Giorgio Crovato (lontana parentela con il sottoscritto…), al fotografo Franco Vianello Moro, ideatore del singolare progetto. Degli oltre duecento campielli, sfiderei il residente più accanito a conoscerli tutti. Dove si trova il campiello Angaran quello d’un un bassorilievo dell’imperatore di Costantinopoli? Dove si trova il campiello delle Strope? Oppure del Basegó, Centopiere, Piovan, Colomba?
Un viaggio tra i campielli
Vale la pena di girare la città con il libro sottomano. Scrive nel suo saggio Giorgio Crovato che Giulio Lorenzetti, autore della sua celebre guida ottocentesca, ne annovera una cinquantina. Il campiello, prolungamento goldoniano del salotto, venne arredato con i famosi “nizioleti”. Ovvero titolazione in calce di calli, campi e campielli, solo oltre due secoli fa dall’amministrazione francese. Prima del 1801 la toponomastica era solo orale. Prevalgono i mestieri, ma anche le vicinanza di osterie non scherzano (Malvasia, vini di qualità, Magazen, si beve a basso prezzo, Bastion, un postaccio da ubriaconi).
La toponomastica dei campielli
Appena del 1841, con gli austriaci, parte la numerazione progressiva delle abitazioni, divise doverosamente in sestieri. Come la medioevale Firenze o Siena. Lo storico Sabellico nel ‘400 fa un elenco dei campielli “herbosi” nella sua celebre pubblicazione De Sito Urbis Venetae, ormai la città ha una configurazione urbanistica delineata. Ci penserà Giuseppe Tassini, insolente frequentatore di osterie e postacci, nel 1863, a cominciare una descrizione meticolosa nelle “Curiosità veneziane”. Ancora oggi considerato un libro cult. Nel Novecento, Giulio Lorenzetti, porrà il completamento con la guida “Venezia e il suo estuario”, del 1926, ristampato più volte fino al 1974.
Un omaggio a Diego Valeri
Ma le pagine più belle le scrive un padovano, il poeta Diego Valeri, che a Venezia, volle abitare e morire. “Beati I poveri in topografia, beati quelli che non sanno quello che fanno, ossia dove vanno, perché a loro è serbato il regno di tutte le sorprese…”, scriverà nella sua monumentale “Guida sentimentale di Venezia”. Ma l’immagine più divertente è quella di Corto Maltese, l’eroe di Hugo Pratt. Il marinaio romantico. In un campiello di Cannaregio parla con i gatti randagi che lo ascoltano attenti. “Nel giardino dell’Eden c’era di tutto. Fegatini, rognoncini, carne tritata, pesciolini rossi e ciotole di latte. Solamente una cosa non si poteva mangiare, la lisca di pesce proibita che cresceva….”, ovviamente è uno dei racconti brevi nella Favola di Venezia. Quale era il campiello segreto? Probabilmente quello della Maddalena a Cannaregio, ricco di simboli massonici.
Accettate scommesse? Allora ci vediamo nel campiello dei Orbi
Ps. In corso di redazione è apparso il 218esimo campiello. La notizia arriva da Rovigno, Istria. Abbiamo ancora il Campiello S.Giacomo, ci implorano. Il dittatore della Yugoslavia, Josip Tito, voleva cancellarlo dalla storia. Eliminando i nomi dei santi dai campielli. Non c’è evidentemente riuscito.