Ivan Barlafante è stato per oltre vent’anni assistente del Maestro Fabio Mauri, uno dei grandi dell’avanguardia italiana del secondo dopoguerra. Si è sicuramente nutrito di domande, di eversioni; ha conosciuto il contatto vitale con il rischio. Studiava con Tullio Catalano, il co-fondatore della rivista “Flash Art”. Ha rotto cristalli e illuminato la materia. Classe 1967, nato a Giulianova in Abruzzo, ha attraversato la stagione del concettuale, senza dimenticarsi della Land Art e di Fluxus: una prospettiva, quella di Barlafante, sempre orientata ad indagare i rapporti tra dimensione naturale e spirituale. Con eleganza e misura. Ora torna ad esporre a Venezia con la Galleria Michela Rizzo nella personale Sassi, a cura di Antonietta Grandesso. Mostra splendida, allestita nell’ambito di Spazio Thetis all’Arsenale, con una potenza espressiva che può spiazzare o affascinare, ma si regge comunque su argomentazioni stringenti: un sasso è un sasso, si dice, la materia consiste. Tuttavia, il processo d’inveramento che l’artista sottende coinvolge nel profondo sia il concetto d’identità, sia il progetto dell’opera.

Il sasso prende vita
Sono grandi disegni a carboncino, dalle salienze più che realistiche, e cinque lavori scultorei in cui il soggetto “sasso” viene analizzato e sezionato, l’area del taglio rivestita con una lamina in acciaio a specchio. La materia rigida, riflettendo se stessa, fa intravvedere cavità sconosciute, quasi ossa levigate dal tempo. «Sono un altro, non un altro» recita Paul Celan, ma sono.

Come raccontare la Storia
Nella pienezza identitaria, nella concezione spazio-temporale eterna – pensiamo ai fossili imprigionati nella roccia, all’acqua che lima le strutture minerali, al racconto che ci sopravviverà – Ivan Barlafante mette in evidenza, con la consueta misura, un’armonia che ci sovrasta. L’artista sembra non creare l’opera, ne è origine. Non la modella, ne fa parte. Un’anima calcarea unifica l’esistere: a lui spetta il compito di lasciar voce alle cose, di ascoltarle e di trasmetterne la saldezza matura, ineluttabile. Operando in questo modo, Barlafante asseconda la rivelazione.

Dal sasso al diamante
Comprendiamo, in questo progetto macroscopico, la densità opaca di una stella; la sostanza granulosa del diamante che poi, lavorato, risplenderà. Assorbiamo, con l’artista, il peso assoluto di ogni sasso e la sua essenza metafisica; l’origine lontana e l’itinerario del viaggio. Ivan ci fa risalire il cammino a ritroso, fino al suo punto aurorale, là dove ogni felicità possibile era già scritta nella durezza della pietra. Perché ogni materia parla attraverso le proprie figure, le proprie crepe, i pericoli (e il pensiero dovrebbe corrispondere all’essenza delle cose).
La verità nel sasso
Sassi ci convince che il senso dell’arte (o almeno un senso plausibile), come quello dell’esistere, stanno nel prendere posizione per la materia in assoluto, nell’accogliere anche l’oscurità che la connota. L’ombra stessa è un mondo, è tutto ciò che passa sotto silenzio, quello che vorremmo dimenticare, ma invece sta, come sta un sasso. La materia fa ombra. La verità, «non tutta – sostiene Lacan – perché dirla tutta è sostanzialmente impossibile», è scritta nella manifestazione del sasso, in quanto tale: vita, tempo, spazio implosi, sintesi assoluta del mondo.
Chi è Barlafante

L’artista Barlafante ne fa esperienza attraverso lo strumento dialettico, ma poi si arrende all’evidenza. Alla bellezza di tutti i colori nascosti in quel nero pece che il carboncino trascina. Alla magnificenza. Ognuno è seguito da un’ombra, ognuno è storia di un sasso.