Un grande cantatore, Eugenio Finardi, 69 anni, sul palco dalla fine degli anni ’60. Toccò le vette della classifica con “Extraterrestre”, ma senza mai dimenticare lo spirito ribelle della sua musica e la decisione sofferta di restare in Italia. Lui, che aveva sempre vissuto tra USA e il Bel Paese fa una scelta di vita raccontandola quasi dall’oblò di un aereo. Lui, spirito libero, “ribelle”, di una cultura musicale impressionante si racconta in esclusiva per http://www.enordest.it: la libertà e la canzone popolare, il lungo silenzio per la pandemia, l’amicizia con Faber, il rock e i giovani. E un affettuoso ricordo di Franco Battiato, suo amico, uomo autoironico e capace di diventare il “perfetto” cantautore.
Nel mondo musicale odierno c’è ancora posto per la canzone di protesta? Penso ai versi “alzati che si sta alzando la canzone popolare..”
“Quei versi di Fossati credo volessero evocare un’era di consapevolezza culturale che portava, come insegnava Gramsci, il Popolo a conquistare il primato nella Cultura. Oggi credo che la protesta sia più viscerale, realmente sottoproletaria ma meno ricca di ideali e quindi di speranza. Ma esiste”.

I nuovi arrivi nella musica, penso a Achille Lauro, Maneskin, Francesca Michielin, per citarne alcuni, hanno portato qualcosa di nuovo oppure “copiano” dai grandi di ieri?
“Onestamente non conosco abbastanza questi Artisti per esprimere un giudizio. Certo che un po’ la sensazione di deja-vu c’è: già fatto, già visto, già detto… E il bello è che non è nemmeno la prima volta, siamo già al terzo giro a volte! Ora però c’è veramente la sensazione che si sia voltato pagina ed è persino difficile spiegare il senso di quegli anni. Credo succeda a tutte le generazioni prima o poi”.

Come ha visto “l’attacco” di Fedez durante il concerto del Primo Maggio? Lei come si sarebbe comportato?
“Esattamente come lui. L’ho anche fatto, come lo facevano gli Area di Demetrio Stratos, gli Skiantos e tanti altri della mia generazione. Ma allora non c’erano i Social Media e venivamo semplicemente censurati”.
Un artista deve rispondere ai propri fans, non alla politica. Come si rivolgerebbe al pubblico dopo più di un anno senza concerti e senza dischi?
“Vaccinatevi! In realtà sarà dura ricominciare come se niente fosse successo ma, in fondo, non ne possiamo più di sentirne parlare. Io ho passato un periodo molto duro, come tutti, e adesso ho voglia di godere di ogni attimo di condivisione artistica. Stare lontano dalla musica mi è costato tantissimo! La Musica è condivisione. Ma ho studiato molto!
Lei cantava l’inno della radio libera quando c’era il monopolio Rai, oggi esistono i social. Ma tra fake news e notizie rimbalzate come biglie si è forse persa la voglia di ragionare con la propria testa?
“L’ideale sarebbe che ogni individuo dedicasse le sue riflessioni a purgare i propri pensieri da ogni preconcetto, ideologia, superstizione, illusione e credenza per fissare negli occhi la Realtà. Ma ne rimarremmo annichiliti. Così viviamo inseguendo farfalle”.
Un altro poeta come lei. Era un suo amico. Cosa le ricorda Faber nella vita quotidiana?
“La sua frase “In direzione ostinata e contraria” è il motto e la condanna della mia vita”.
Un’ultima domanda legata purtroppo alla scomparsa di Franco Battiato, cosa ha rappresentato per lei nella musica leggera italiana?
“Conosco Battiato dal 1973, lo incontrai nell’ufficio di Gianni Sassi e mi appassionai alle sue sperimentazioni con i sintetizzatori. “Fetus, Pollution, Sulle corde di Aries” furono tra le colonne sonore di quel decennio straordinario di ricerca sull’espansione della consapevolezza. Franco era anche l’unico che aveva un VCS3, il sintetizzatore che usavano gli WHO, e gli chiesi di suonarlo nel mio primo album in “Saluteremo il signor padrone”, un canto popolare riarrangiato a Rock. Entrambi eravamo nell’agenzia di Angelo Carrara e fui testimone della sua “svolta pop” che in realtà fu una straordinaria operazione di reinvenzione della canzone italiana, abbattendo ma anche usandone tutti i luoghi comuni, anche sonori.
Ricordo di essere entrato nello studio di Alberto Radius mentre Franco, Titti Denna, Giusto Pio e Filippo Destrieri si esaltavano cercando il suono “più brutto” per la iconica frase di “Bandiera bianca”… Poi diventò “IL MAESTRO” ma quelli che lo conoscono bene sanno che accanto alla figura austera c’era un uomo spiritoso, autoironico, che amava gli scherzi e le battute. Era anche affettuoso e premuroso con chi gli era caro. Ha cambiato dimensione il più “perfetto” dei cantautori. Quello che ha saputo meglio valorizzare ed equilibrare musica, testo, senso e scopo”.