Prendiamoci una, parziale, pausa dal parlare di Covid per toccare un argomento altrettanto attuale anche se meno evidente: la libertà di parola, di stampa, di satira. In realtà è tutto profondamente correlato: la pervasività dell’informazione, lo spostamento della vita pubblica nella piazza virtuale, la facoltà di ogni persona di partecipare – almeno in teoria – ad “armi pari” al dibattito sono evoluzioni difficili da gestire in un periodo di tensione, di restrizioni alla libertà, di difficoltà economiche e sociali.
Esistevano limiti non scritti
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La storia dovrebbe essere maestra di vita, purtroppo lo è raramente. Le società più “di successo” nella storia hanno sempre permesso libertà di espressione e di satira. La stessa parola satira ha evidenti origini latine e nell’impero ha trovato alcune tra le sue massime espressioni. Prima dei Romani anche i Greci – generalmente nelle commedie – non disdegnavano toccare gli argomenti di attualità (a volte anche osando in maniera geniale, come ad esempio nella Lisistrata).
Più vicine a noi sono le tradizioni carnevalesche, che hanno avuto il massimo sviluppo a Venezia: nel periodo di Carnevale era consentito scherzare, dileggiare i potenti e i ricchi, invertire l’ordine sociale. Volendo dare uno sguardo a tempi ancora più moderni si può citare la moda tra gli intellettuali di dedicarsi anche alla satira politica per esporre il vero volto del potere. E non stiamo parlando di comici nostrani, ma di Voltaire e Montesquieu. Questi esempi hanno una cosa in comune: limiti ben definiti. Gli scherzi del Carnevale non dovevano essere fatti fuori dei giorni ad esso deputati.
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La satira, e in generale la libertà di espressione, romana aveva dei tabu che non andavano superati: più di una figura di spicco del mondo intellettuale nell’antichità ha subito ripercussioni gravi per averlo fatto. I limiti spesso erano non scritti ma si trattava di elementi culturali condivisi. Oggi esiste una teorica libertà totale e universale (con rarissime, teoriche, eccezioni tipo il vilipendio del Presidente della Repubblica o la blasfemia) difesa a spada tratta da gruppi di attivisti. Dall’altra parte sembra farsi strada un certo timore delle classi dirigenti, forse in particolar modo da parte delle persone serie che cercano di lavorare con impegno, che la situazione sfugga di mano. Quest’ultima possibilità non è così assurda vista la pervasività della comunicazione orizzontale disintermediata e il livello delle trovate per ricevere attenzione social.
Arlecchino e il clickbait
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Ed proprio qui sta uno dei grandi problemi: la possibilità di comunicazione costante e totale sta creando incomunicabilità, e la società si sta irrigidendo, tribalizzando e incattivendo. Per avere un minimo di attenzione da parte di un pubblico sempre più vasto e sempre più distratto, persone o gruppi che vogliano visibilità usano toni fino a pochi anni fa inaccettabili. Si vedono titoli di post, blog, anche testate giornalistiche che gridano allo scandalo per qualunque minuzia (quando non si tratta di eventi completamente fabbricati). A questi capita si uniscano anche forze politiche.
Attenzione, non sempre c’è cattiva fede o sprezzo per la verità: ormai la comunicazione per molti è così, e anche l’abitudine a verificare le fonti è decisamente meno praticata. Ma la vita quotidiana non può essere popolata costantemente da Arlecchini, e in questo carnevale costante chi ha il dovere istituzionale di dare ordine alla società si trova accerchiato e stressato. I patrizi veneziani gestivano bene gli sfottò: duravano pochi giorni. Oggi i nervi rischiano di essere meno saldi.
Le baruffe chioggiotte
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Quindi capita di vedere esponenti delle istituzioni che entrano in polemica con blogger, influencer e comici. Allo stesso modo capita di vedere intrattenitori che fanno satira intelligente e ragionata essere tirati dentro querelle evitabili alla stessa stregua di loro colleghi meno fini e profondi. Insomma, da ambo le parti stiamo assistendo ad una virata sociale che ricorda le commedie di Goldoni.
Ma cosa possiamo aspettarci da una società parcellizzata e centrifuga? Le baruffe sono inevitabili e probabilmente sono destinate ad intensificarsi, anche perché – proprio come in una commedia – ciascun attore sul palcoscenico parla direttamente con il pubblico e prova a perorare la sua causa. Non ci sono giudici, non ci sono istituzioni o corpi intermedi: un governante e un blogger hanno lo stesso spazio in rete.
Aspettando la scopa del buonsenso
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La speranza, rimanendo in tema goldoniano, sarebbe vedere l’ingresso in scena di Colombina munita di scopa a mettere ordine con il giusto mix di assertività e bastonate. Non è detto che prima o poi una cosa del genere non succeda – sfortunatamente, temo, in maniera metaforica – ma adesso la soluzione non può che essere diversa. Le persone di buon senso e di buona volontà, di ogni schieramento, di ogni professione, di ogni credo e di ogni provenienza devono dialogare oggi più che mai.
E siamo noi, il pubblico in sala, che deve premiare chi dialoga, chi chiede scusa, chi ritorna sui suoi passi a seguito di una contestazione sensata e intelligente, chi collabora per isolare gli antisociali di professione, i mentitori seriali e i facinorosi. Siamo noi che dobbiamo entrare in questo tipo di conversazione e sostenere chi la porta avanti. Allora, solo allora, la possibilità di comunicare diventerà un bene prezioso per tutti noi e non una bomba inesplosa in mano alla società.