«La verità sta nell’occhio di chi guarda» sostiene Andrea Mastrovito. Sembra elementare, ma la fatica dell’anno trascorso sfasa le prospettive, pone molti dubbi. L’artista, classe 1978, bergamasco d’origine e newyorkese di adozione, tra i più apprezzati della sua generazione, è in mostra per la prima volta a Venezia, negli spazi della Galleria Michela Rizzo, fino al 26 maggio 2021: un’esposizione articolata, a cura di Alberto Fiz, dal titolo complesso, La diseducazione al reale.

Se non siamo educati anche un’esposizione serve
Trenta opere, in gran parte realizzate per questa occasione, suddivise per sezioni tematiche che ripercorrono le ricerche recenti di Mastrovito, che è anche regista ed autore di libri. Un’ossessione su tutte, assolutamente motivata: il disegno inteso come tecnica in grado di stravolgere il processo visivo, come se disegnare fosse sempre all’intersezione dei contrari; la verità dell’essere e l’errore dell’apparire. In che modo viene affrontata la realtà, nel processo artistico? Quand’è che, strada facendo, si modifica la sua percezione? Sono interrogativi cogenti nell’opera di Mastrovito, soprattutto in un mondo in cui, come osserva il curatore Fiz, «il reale è uscito di senno».
Come nasce la diseducazione

La diseducazione nasce da una riflessione primaria sulla funzione dell’artista in questo reale incongruente. Tuttavia, se già Nietzsche sosteneva che «il mondo vero è diventato una favola», l’arte di Andrea Mastrovito non mette tra parentesi il quotidiano. Piuttosto, semplificando un po’, potremmo dire che lo manifesta in forma rovesciata.
Ecco i grandi frottage su carta (tecnica apparentemente infantile, utilizzata in modo strumentale), dove composizioni di monete assurgono a texture, inducendo riflessioni sul valore del denaro e sulle bugie dell’identità storica; ecco la selezione di lightbox creati con righelli multicolori (sì, proprio i righelli che si utilizzano a scuola per tirare le linee), per ragionare sul concetto di percezione degli oggetti, e degli eventi. Oppure i trompe-l’oeil che riproducono le ultime pagine di novelization: ultima tendenza, soprattutto statunitense, che va a trasporre in romanzi opere differenti, dai film al teatro ai fumetti.
Educati cogliendo la sezione principale
La sezione principale, quella che dà il titolo alla mostra, consiste in un’installazione site-specific in cui l’artista riproduce un’intera classe scolastica ai tempi della pandemia: dodici banchi vuoti sul cui ripiano si riportano allegorie disegnate delle dodici materie elementari, mentre sull’intarsio della cattedra e sull’incisione della lavagna vengono rappresentati studi dalla Melancolia düreriana.

Un commento profondo
Nessun giudizio banale, nessun presupposto scontato: il valore, artistico ed etico, del lavoro di Mastrovito, ciò che lo allontana dalle mode, è tutto nella critica attiva, quanto innocente, che il suo messaggio impone. L’artista suscita il problema, o lo esplicita, ma sempre per cercare una soluzione, o anche solo un maggior livello di comprensione. Il plusvalore sta nel suo essere autentico, nell’esserlo rimasto, nonostante i successi internazionali, le mostre, i premi: «È un due più due che fa sei – ha dichiarato in un’intervista – Essere artisti non è una professione, ma un modo di vivere. Un po’ come il prete. Non fai per otto ore il sacerdote, lo fai per ventiquattro».
Non educati al reale
Quel che s’intuisce, subito, nel suo operare – oltre alla maestria indubbia del segno, alla padronanza tecnica ed ideale dei mezzi che utilizza – è che il reale, quello a cui ripensare mentre si va frantumando in mille schegge impazzite, Mastrovito lo desidera come un’esperienza condivisa, possibilmente accogliente: «Non ho mai frequentato solo il sistema dell’arte, non ne sarei capace, probabilmente – ha commentato a chi gli chiedeva dei complicati meccanismi dell’ambiente newyorkese – Il mio interesse maggiore è nei confronti dell’uomo e del suo posto nell’ordine naturale delle cose, nel mondo».
Educati alla realtà con l’innovazione dell’arte

Raccontare la realtà, farlo nel modo più obiettivo possibile, con la pratica quotidiana sempre tesa alla circolarità dell’esistenza: da un lato l’oscurità, la follia che degenera; dall’altro la luce, la capacità di uscirne. Non si può non ripensare ai suoi disegni, declinati in ogni modo: dalla purezza del tratto definito alla scultura; dall’installazione al video, al cinema e alla performance. O alla chiesa di San Giovanni XXIII° di Bergamo, dove Mastrovito ha allestito, nello spazio dell’abside tripartita, una potente scena di Passione su vetro, dieci metri in altezza di luce, oro bizantino e definizione minuta del reale. Misura del tempo e dello spazio, coerenza. Persino nei film di animazione, in cui quello stesso reale si declina e si distorce quasi fosse un nastro di Moebius, all’infinito.
Educati grazie all’arte senza rinunciare alla passione per il calcio
È bello pensare ad un’arte che si esplica come catarsi personale e come cura. Bello anche esistano artisti che scelgono di abitare poeticamente il mondo, come piaceva ad Hölderlin, e di sentirne gli umori.
Sarà merito anche dell’Atalanta: Mastrovito è di fede nerazzurra. Dice sempre che la Curva Nord gli ha insegnato umanità e rispetto reciproco. Come spiegazione critica, è la migliore.