Nei giorni della pandemia e del lockdown Venezia, come tutte le città del mondo, liberata dall’invadente e formicolante presenta dell’uomo, ha rivelato la sua bellezza “vera”. I pesci nei canali sorpresi dall’acqua limpida e trasparente; il cielo azzurro; le calli e i campi riconquistati dalla natura e dagli animali. E il silenzio. Era così Venezia, era così questo pianeta. La città più turistica del mondo ha denudato tutta la sua struggente e fragile bellezza perché liberata dai turisti. È un paradosso: solo sciolta dalla monocultura turistica Venezia è cultura. Può tornare a vivere, non più gettata in pasto al consumo di milioni di persone che la calpestano, la triturano, la erodono senza “vederla”.
Venezia è cultura anche nei libri
Nel 2018 è uscito un libro molto bello, La Venezia che vorrei. Parole e pratiche per una città felice, a cura di Cristiano Dorigo ed Elisabetta Tiveron (Helvetia Editrice): 23 “pezzi” (racconti, minisaggi, poesie, sogni, disegni) di 26 autori.
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Quando torneranno i bambini
Quasi tutti gli interventi sottolineano un punto: Venezia rinascerà quando tornerà ad essere abitata, quando tornerà ad essere anche la città dei bambini, quando sarà salvata la memoria dei vecchi, cioè la sua storia e le sue tradizioni. La giovane poeta e musicista Maddalena Lotter scrive che «abitare Venezia non equivale a guardarla», va vista «con lentezza»: la sua storia millenaria, dice Maddalena, è ancora da scrivere.
Venezia È cultura con la E maiuscola
La vocazione di Venezia, sembra ovvio ma non lo è, è la cultura. Non solo la sua storia millenaria, i suoi palazzi, le chiese, i musei, che ne fanno il luogo più ricco di opere d’arte. No, non è ovvio. Perché la cultura torni ad essere il presente e il futuro di Venezia la città deve tornare ad essere abitata dai giovani, le due Università (Ca’ Foscari e IuaV), l’Accademia di Belle Arti, le tante Fondazioni (prima fra tutte la Biennale) devono tornare ad essere laboratori permanenti tutto l’anno, con giovani da tutto il mondo attori principali della vita collettiva.
No alla città vetrina. Sì alla città incontro
Quindi? No alla città-vetrina, alla città-palcoscenico, alla città-red carpet; sì alla città-laboratorio, città-atelier, dove giovani di tutto il mondo s’incontrano per studiare e costruire, riscoprire con i vecchi residenti rimasti le tradizioni millenarie (vetro, merletto, gli squeri, la gastronomia, ma anche i giochi di strada, la memoria dei sestieri, i ricordi).
Settembre. Quando Venezia è cultura vera
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Settembre è il mese magico di Venezia vetrina del mondo: la Mostra del cinema, la Biennale Arte e Architettura, i festival di teatro, danza e musica, le mostre; l’installazione di Fabrizio Plessi in piazza San Marco, le cascate d’oro alle finestre del Museo Correr – così come nel 2001 erano cascate di luce e di fuoco – da un artista innamorato. Passato settembre, con le luci d’autunno che cedono alle meno dorate aure e solitudini d’inverno, i riflettori si spengono. Ecco: Venezia non è una vetrina, non è una dama da offrire alla contemplazione della “clientela” mondiale, è una città che vuole vivere tutto l’anno. Può farlo se smette di essere un palcoscenico e torna ad essere un cuore che batte.