Chiamali pensieri vagabondi o, semplicemente, ricordi insistenti, che arrivano sotto forma di immagini, come una strada bianca che va sinuosa tra le colline trevigiane visitate sul finire dell’estate. Siamo abituati a percorrere strade asfaltate ovunque, una trama che sembra un atto di rivalsa contro quello che è stato il tempo delle antiche strade polverose che diventavano fanghiglia al primo acquazzone. Quei percorsi hanno segnato lontane infanzie che forse molti volevano dimenticare come fossero il simbolo di una vita povera. Il tutto in vista della modernità portatrice di un benessere universale.
Quelle antiche strade che raccontano una storia

In realtà si tratta di ben altro: quei nastri bianchi che cingono boschi e vigneti sono il frutto civile e culturale di un rapporto equilibrato fra le esigenze dell’uomo (l’asfalto) e quelle della natura che respira l’aria e assorbe le piogge. Se quelle vie tortuose ci fanno pensare al passato, cioè alla bianca trama delle vie naturali, non dobbiamo sentirle come un difetto nel paesaggio domestico, semmai come parte di una narrazione della nostra convivenza con la terra.
Personalmente le strade polverose hanno disegnato la geografia della mia infanzia in Polesine e, in particolare fanno parte della mia iniziazione alla scrittura. Uno dei primi racconti si intitolava Strade bianche e fichi d’india, era il ricordo dell’arrivo in Sicilia per il servizio militare. Quel viaggio oggi mi consente di dire che sentieri e stradine polverose sono una costante della geografia italica e ne esaltano anche il valore estetico.
Antiche strade che esaltano il paesaggio

Infatti, c’è anche bellezza nel paesaggio nostrano entro il quale viviamo. E torniamo a parlare delle nostre colline venete ricamate dai vigneti e alternati da macchie boscose, sintesi della millenaria convivenza tra homo faber e madre natura. C’è una scena che si ripete nella mia mente quando penso al confine fra il bosco e la strada bianca. Nell’ombra del fogliame occhi selvaggi spiano le mosse degli umani: sono caprioli e cinghiali che aspettano il via libera per attraversare la linea bianca e scendere al torrente ad abbeverarsi. Nell’aria il mormorio dell’acqua si dissolve nel grande silenzio verde.
Disegni parlanti

Ci sono mondi fantastici e segreti che ci vengono rivelati da un libro, un film o anche da un nome. Come diceva quel saggio: “La realtà è sorprendente, e non perde occasione per ricordarcelo”. Proprio così ho pensato l’altro giorno uscendo dal museo M9 di Mestre dove avevo visto una mostra di fumetti dedicata ad un maestro del genere, il veneziano Stelio Fenzo (1932 – 2022).
Sorpreso, anzi, emozionato perché quei disegni parlanti avevano rimescolato i miei ricordi più lontani.
Quel mondo da sognare


Mi chiudevo alle spalle il mondo avventuroso di Fenzo e si aprivano le porte della mia memoria, quando i “disegni parlanti” non avevano la diffusione di oggi, anzi c’era chi li denigrava e voleva addirittura proibirli perché nocivi ai ragazzi. Per me, i fumetti sono stati la scoperta di un linguaggio nuovo e l’immaginazione, stimolata da quelle storie disegnate che per me altro non erano che una forma narrativa romanzesca. A questo proposito, non dimenticherò mai questa frase di Hugo Pratt, maestro e amico di Fenzo:” I fumetti sono una forma di letteratura disegnata”.
Quando nasce una passione

C’era dell’altro, per me: la bellezza dei disegni delle figure e dei paesaggi realizzati da autentici artisti, gli americani per primi (poi avrei scoperto gli italiani). Le loro tavole semplicemente belle. Posso azzardare, oggi, che la mia passione per la pittura, e in generale per l’arte visiva, sia nata sulle pagine magistrali di quelli chiamati fumettisti e che sono in realtà artisti figurativi, spesso autori dei testi narrativi.
Oggi, con Fenzo, ritrovo e rivivo l’emozione di scoprire il volto segreto e fascinoso delle grandi foreste, dei deserti, dei mari dei Tropici, delle praterie ma anche dello spazio cosmico, la più grande prateria immaginabile.
Grazie Stelio
Parla, ti ascolto

(poesia)
Quante parole si prende il vento
e le porta in altre geografie.
Quante parole scriviamo sulla sabbia
del tempo che nessuno legge,
quante voci ti chiamano, uomo,
e non rispondi o non sai
le parole che infiammano i cuori
e leniscono tanti mali.
Forse non parliamo più a noi stessi.
Anonimo 25

















































































