E’ un fatto: i vaccini ci hanno spinti a diventare attivi e movimentisti. Quando il nostro orizzonte – vi ricordo di ricordarlo… – era buio e impenetrabile come una notte nebbiosa, in stato di “reclusione collettiva” (Emilio Gentile, storico), abbiamo acceso gli arcobaleni sul confine dei nostri appartamenti, il terrazzino: oggi, per immunizzarci, percorriamo anche decine di chilometri. Da passivi spettatori dell’invasione virale siamo diventati attivi, con responsabilità da protagonisti…. E proprio i vaccini ci permettono di affrontare il nemico in battaglia. “Ma come” si dirà, ”ma perché noi borghesi quando c’è il grande esercito dei camici bianchi?” Perché, è la risposta della storia, lo scontro Uomo-Virus lo richiede dopo tanti mesi di sofferenze e lutti. E noi, proprio noi che leggiamo queste parole, possiamo e dobbiamo affrontarlo. Perché noi siamo le armi! Proviamo a leggerci in questo ruolo guerresco: l’Uomo è oggi – e sempre – un’arma intelligente che dispone di un piano strategico già attivato che – diciamolo fuori di metafora – va portato a conclusione. Il virus si trasforma?, e allora noi possiamo imitare il suo stile d’attacco. Le regole, se applicate però da tutti insieme, coordinati in una potente “fraternità di destino” – citazione filosofica modificata – ci porterebbero a neutralizzare il mostro. Ce lo raccomanda il Cavalier Vax.
I confini… annodati
A volte, morte e vita arrivano insieme: l’ho pensato quando ho saputo che è uscito un nuovo libro di Ulderico Bernardi (1937-2021), un’opera che nasce orfana del suo autore scomparso nell’aprile scorso, a 84 anni, nel turbine della pandemia. Come certi bambini che nascono dall’ultimo respiro della madre, ecco Terre perse edito da Biblioteca dei Leoni, con un sottotitolo tagliente: L’amputazione della Venezia Giulia dall’8 settembre 1943 al 10 febbraio 1947. Che narra di un calvario vissuto ai confini orientali d’Italia, manipolati dopo la Seconda guerra mondiale da potenze estranee alle popolazioni miste che da secoli con-vivevano, fra Venezia Giulia e penisola istriana da cui mosse il conseguente, brutale fuga degli italiani e la valanga slava del comunista “eretico” Tito. Anziché restare aperti, – europeizzati direi – i confini sono stati annodati attorno al collo di culture e lingue viventi in pace: il bel dialetto istroveneto o istriota, l’italiano, il croato, lo sloveno. Su questo tema dell’Istria multietnica è intervenuto di recente anche Gian Antonio Stella con un amaro, accorato articolo sul Corriere della sera. Mi hanno colpito, fra le altre, le parole di un anziano istriano residente: “Maledetta la volta che ho rinunciato a andare anch’io in Italia come la massa degli italiani dell’esodo!” Voce da terre perdute nel labirinto della Storia.
Carpe diem a tavolino
La vita sociale si va sciogliendo sempre più dalle panie governative, ci muoviamo passando dalla paralisi all’euforia senza freni (anche se molti, con un pizzico di saggezza, fanno della prudenza una virtù attiva…): Si parla di “vita aperta” in contrasto con i mesi semi-claustrali, e di “riconquiste”. Parole belle, espressive, ma anche spie di un senso di libertà che non appare di alto profilo. Detto in altro modo: certe categorie si sono mosse all’insegna dell’esagerazione. Lo si è potuto vedere in città, ovunque con lo stesso stile, dove baristi, osti e ristoratori hanno allargato a dismisura lo spazio pubblico appena dichiarato plateatico-free, insomma libero da balzelli comunali, e hanno disseminato tavoli, sedie e lampade notturne raddoppiando o triplicando lo spazio dehors che era piccolo quando era a pagamento; hanno invaso qualche volta perfino i marciapiedi: una ingordigia di spazio (di tutti) in una specie di grande movida commerciale (privata) senza pudore. Diranno che ne avevano diritto dopo il lungo digiuno. E cosa diranno quando si tornerà al regolamento comunale? Intanto, si sta oltre i limiti. Carpe diem.
Nuvole e fiori
(poesia)
Volano nel vento e su di noi
piccole gocce
come parole
di uno che grida nel deserto.
Vengono dall’ovest lontano
da un cosmo
di tenebra
screziato da fulmini estivi.
Sgocciolano qui le nuvole
sterili in fuga,
la vera pioggia
è là nel buio della creazione.
E la sete dei nostri fiori resta
insaziata.
(Anonimo veneto)
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