Marilia Mazzeo appartiene a quella schiatta di scrittrici e scrittori contemporanei che vivono Venezia e la amano per quello che è: meravigliosa e difficile, appagante, talvolta rinunciataria. La amano senza compromessi, senza strumentalizzazioni. Ormai sono appartenenti ad una specie protetta. Il marchio “serenissimo”, infatti, ben si addice, di questi tempi, a manipolazioni di ogni tipo: storie in costume (meglio se settecentesco), intrecci gialli, intrecci gialli in costume (praticamente il massimo, per il mercato editoriale). Se non si rispettano queste caratteristiche – senza dimenticare la regola del “trenta per cento” di giallo, “trenta per cento” di sesso e il resto azione, anche senza alcun costrutto – si fa molta, molta fatica a varcare i confini lagunari. Eppure Marilia continua a scrivere. Scrive sul serio, tutti i giorni, al tavolino di un bar in Riva Sette Martiri, nel cuore di Castello.
Oppure, nei giorni di maltempo, nelle sale di una piccola biblioteca. Divide questo vezzo con qualche altro habitué della redazione comunitaria, per esempio Roberto Ferrucci, che tante volte ci ha raccontato, dal suo punto privilegiato di osservazione, del passaggio delle Grandi Navi in Bacino di San Marco.

Marilia e le storie nate in un bar
Marilia, dalla sua, imbastisce vicende minute, intime, quasi ricamasse. A Venezia lei, come Dona Leon, ma con meno strepito, abita da tanti anni, anche se è giunta da un luogo prossimo, affine, come Ravenna. La città l’ha scelta da ragazza, come sede universitaria, ma ha capito ben presto che – più degli studi d’architettura – le interessavano le parole. Ha imparato a maneggiarle con cura, come gli alambicchi di un trasmutatore di materia: un idioma misurato, ma caloroso, senza troppe inflessioni dialettali; nulla di astruso, ma sempre adeguato ai personaggi.
Chi è Marilia

Lo sguardo è acuto, lo stile più attento ai dialoghi di quanto non si usi ai giorni nostri: piccoli schermi della memoria, interlocuzioni argomentate, da cui i personaggi escono a sbalzo.
Racconti nati in un bar
I romanzi di Marilia Mazzeo sono belli, di una bellezza pacata e reale. Non rispettano la regola del “trenta per cento”, ma fanno di meglio: raccontano un luogo come Venezia, mettendo in evidenza il suo tessuto sociale, le problematiche profonde, i drammi. Sotto il vestito della città più celebrata del mondo, tutto: l’acqua alta, la pandemia, la difficoltà di abitare e lavorare.
La storia di Marilia e dei suoi racconti
La sua prima raccolta, oltre a racconti pubblicati e tradotti in antologie e riviste, si chiama appunto Acqua alta, edita nel 1997 da Theoria. Poi è stata la volta di Parigi di periferia (EL 1998) e La ballata degli invisibili, uscito nel 1999 per Frassinelli. Quest’ultimo lavoro, significativo, minimale e profondo ad un tempo, si svolge tutto intorno al luogo meno scenografico, ma più brutalmente reale di Venezia, Piazzale Roma. Vi s’incrociano le vicende di personaggi diversissimi tra loro, ma destinati a convergere secondo modalità tutte teatrali, drammatiche. Un piccolo capolavoro di ritmo narrativo.

La pausa, il bar, un caffè e la ripresa
Poi, dopo una lunga pausa in cui si è dedicata ad altro, Marilia è rientrata in gioco con un altro romanzo, Non troverai altro luogo, edito da L’Iguana nel 2017. Un affresco di ricerca familiare ricco di suspense e d’introspezione, una sorta di viaggio d’iniziazione condotto negli anni della maturità, anziché in età giovanile, e per questo ancor più denso di scoperte. Una madre che cerca il figlio; un figlio che (forse) non vuol farsi trovare. Sono monologhi interiori, a scandire il viaggio della protagonista Elena; o brevi dialoghi colmi di pudore, anche tra le pareti domestiche. Ogni tappa del percorso è descritta per brevi tocchi, senza dilungarsi troppo in digressioni paesaggistiche. La scrittura di Marilia segue un andamento musicale, musica da camera piuttosto che per grandi organici.
Cambiano i tempi ma non il bar
I tempi sono cambiati, si potrebbe commentare; il panorama librario dell’ultimo ventennio offre sempre minori possibilità di farsi notare, saturo com’è d’iniziative spesso di scarso livello (ed ogni uscita acquista valore solo se annunciata con rilievo sui media, per poi finire molto presto nelle giacenze di magazzino). Eppure Marilia continua a scrivere storie di umanità, seduta al tavolino di un bar, nel cuore di Castello. Ne ha già una nuova pronta, in cerca di editore.
In attesa

Di più, oggi – lei che è discreta, elegante quanto sommessa nei toni – scrive persino di sé, in un diario-taccuino che uscirà nei prossimi mesi per i tipi di Helvetia. La sua vita, un po’ come la vita dei suoi personaggi che a Venezia vivono e sperano, ha la delicatezza, lo splendore affettuosi della realtà quando si ama un luogo e la potenza di una scrittura solida e certa. Venezia è anche questo, abbiamo il piacere (e il dovere, anzi l’imperativo categorico) di parlarne più spesso.
Anch’io voglio ringraziare la giornalista Francesca Brandes per il suo articolo su Marilia Mazzeo, un articolo che non grida, non eccede in lodi, ma sommessamente e con discrezione coglie la qualità dello scrivere di Marilia, nei suoi aspetti di sensibilità personale verso i luoghi, le persone e se stessa. Scrive così fin dai tempi della scuola elementare… è sempre se stessa.