Il carattere che rende speciale lo sport è rappresentato dall’inclusività, una macchina che abbatte muri immaginari e che unisce ragazzi e persone di ogni età. Il progetto “Dragon’s Challenge” del Rugby Mirano, solo posticipato e mai fermato dalla pandemia, nasce proprio con questi ideali. Il Presidente Stefano Cibin ha coinvolto nel progetto anche l’allenatore inglese Jeremie Bristoe e punta ad un futuro con strutture sempre più grandi e numerose.
Presidente, da dove nasce il progetto “Dragon’s Challenge”?

“Il progetto nasce dall’esperienza che la società ha fatto dal primo progetto di inclusione “Una meta per crescere” otto anni fa. Progetto che prevede l’inclusione dei ragazzi con sindrome di down all’interno della squadra di rugby, in collaborazione con AIPD di Venezia. Si tratta di un inserimento protetto ed oculato che porta un ragazzo per volta nel gruppo. In questo modo, in deroga con la federazione, si trova a giocare in una categoria inferiore rispetto alla sua età e con gli altri ragazzi. Tra i diversi inserimenti fatti, c’è anche il caso di Giovanni, un ragazzo che è andato oltre la barriera figurativa del minirugby e che, dopo aver esordito in under 14 l’anno scorso, sta giocando in under 15. Questi per noi sono i veri scudetti, le soddisfazioni che ricerchiamo. Le tematiche sociali e i programmi di inclusione sono nel DNA del Rugby Mirano”.
Siete stati più forti anche della pandemia, che vi ha fermato per tanto tempo

“Siamo partiti proprio nel febbraio del 2020, quindi ci siamo ritrovati bloccati e in lockdown dopo pochissimi giorni. Per sicurezza e per garantire una continuità ai ragazzi, siamo rimasti fermi a lungo, per poi ripartire a settembre. Attualmente abbiamo sette ragazzi e, volta per volta, cercheremo di integrarne sempre di più. Le richieste sono tante e con i giusti passaggi riusciremo a riempire l’intero campo con i nostri bambini, intanto non possiamo che formare più educatori possibili per accogliere più ragazzi. Con l’amministrazione comunale, inoltre, abbiamo iniziato a parlare di un centro sportivo inclusivo, che possa avere più campi e strutture studiate anche per loro, come un parco giochi con giostre”.
Il progetto Dragon’s, nel quale figura anche Jeremy Bristoe, ha modelli esteri?

“Inizialmente cercavamo un sistema che aprisse le porte a più ragazzi e l’arrivo in Italia di Jeremy Bristoe, un allenatore inglese che è stato tra i primi a creare un progetto simile, ci ha permesso di realizzare questo nostro obiettivo, un programma che permette ai ragazzi di entrare in campo e divertirsi provando il rugby-tag (il rugby scolastico e senza contatto). Mentre noi eravamo orientati per un altro tipo di rugby, Jeremy ha portato il suo modello, con il quale ci siamo accorti che riusciamo ad accogliere davvero tutti. Stiamo prendendo ad esempio anche il progetto del Bristol Rugby, squadra inglese che lavora con un programma che coinvolge tutti coloro che vogliono giocare, dai neonati agli anziani, e che interessa qualche migliaio di persone”.
Presidente, qual è per lei il significato del progetto Dragon’s?

“Lo sport è una medicina che non ha controindicazioni e fa bene a tutti, in particolar modo a chi ne ha bisogno maggiormente rispetto ad altri. Una società non si deve limitare a cercare i risultati sul campo. Le fondamenta di un club si basano infatti su questi aspetti sociali, bisogna cercare di formare prima dei ragazzi che degli atleti. Con questo progetto di inclusione, la crescita di tutti i nostri ragazzi è a trecentosessanta gradi, sia degli “sfidanti”, ossia di coloro che sfidano la vita come dico io, che degli altri compagni. La pandemia ha evidenziato come lo sport debba essere di tutti”.